Così è (se vi pare)
Di Luigi Pirandello
Regia di Luca De Fusco
Scene e costumi di Marta Crisolini Malatesta
Luci di Gigi Saccomandi
Scelte musicali di Gianni Garrera
Con Eros Pagni (Lamberto Laudisi), Anita Bertolucci (Signora Frola), Giacinto Palma-rini (Signor Ponza), Paolo Serra (Consigliere Agazzi), Lara Sansone (Signora Amalia), Giovanna Mangiù (Dina, loro figlia), Valeria Contadino (Signora Sirelli), Domenico Bravo (Signor Sirelli), Roberto Burgio (Signor Prefetto), Plinio Milazzo (Centu-ri/Cameriere), Irene Tetto (Signora Cini/Signora Ponza)
Teatro Stabile di Catania
Stagione 2022/2023
di Enrico Palma
C’è un detto siciliano, filosofico in tutta la sua essenza, che recita: tuttu c’è e nenti si crira. Che tradotto alla lettera significa tutto c’è e niente si crede, laddove il c’è è il punto nevralgico del detto, quello più misterioso ma ontologicamente fondamentale. Tutto esiste, dicono quindi in Sicilia, ma non si crede in nulla; oppure: tutto esiste, volendo dire che ogni verità esiste ed è valida ma non se ne crede nessuna in particolare. Interpretando variamente questo detto si giunge allora a diverse posizioni metafisiche, che possono essere ridotte per lo più a due, a seconda di quale estremo dell’interpretazione stessa si vuole considerare: nichilismo e relativismo. L’esistenza della realtà, delle cose in cui credere, è data per assodata ma è l’essere della credenza a venire posto in questione. La saggezza popolare siciliana avrebbe quindi condensato in un solo detto decine e decine di secoli di dispute filosofiche.
A questa considerazione metafisica bisogna aggiungere inoltre l’aspetto filosoficamente più pragmatico: se ci riferiamo infatti ai casi specifici (con Wittgenstein alle forme di vita) in cui ricorre questa espressione, ci si accorge che essa viene utilizzata in situazioni di indecidibilità circa una verità, su cui anziché pronunciarsi formulando certezze invece si tace o, più propriamente, si sospende il giudizio. Il detto, quindi, parrebbe molto un serissimo esercizio di epoché filosofica, la stessa a cui, insieme a Lamberto Laudisi, il protagonista della commedia pirandelliana, ci rimettiamo quando parliamo di verità.
Non è un caso che quando gli anziani – ovvero chi ancora può vantare di detenere tale saggezza – si sentono ripetere da qualcuno questo detto in circostanze vaghe e incerte riguardo a una faccenda in discussione rispondano: chissa è ‘a virità. Questa è la verità. La verità, cioè, proclamata dal detto, senza esagerazione affiancabile per dignità e pregnanza filosofica al motto delfico. Non è quindi da escludere che un siciliano intriso di cultura popolare come Pirandello non solo sapesse di questo detto ma che addirittura avesse riflettuto sulle sue implicazioni. Poiché Così è (se vi pare) mi sembra una sua perfetta continuazione filosofica.
Perché questo fa Pirandello: mostrare nel gioco di ruolo dei personaggi la validità della verità che si crede rispetto a quella ritenuta dagli altri, al di là di ogni percezione sensibile, rigore logico o persino pazzia. L’impostazione registica proposta da De Fusco è basata su un tipo di scena quasi da mistero kafkiano (così nel Foglio di sala), e kafkiano è anche un altro aspetto della messa in scena: i personaggi inquieti intorno alle sorti del dramma della famiglia Ponza sono infatti disposti sul palco come una giuria di un tribunale, che ascoltano a turno, e anche molte volte, le diverse versioni della verità, che prima è in un modo – la madre pazza, la signora Frola – e poi in un altro – il marito innamoratissimo, il signor Ponza.
Dico madre e marito in riferimento alla signora Ponza, la cui identità è l’unica a poter risolvere l’enigma e sciogliere questa così ingarbugliata vicenda. Tutti vogliono delle prove, eccetto Laudisi, che è seduto in disparte, separato rispetto all’altra gente alla smaniosa ricerca dei dati di fatto, ciò che in modo incontrovertibile può dar ragione a uno e sbugiardare l’altra, provare il vero e negare il falso. Laudisi, dal canto suo, è il filosofo che si burla di tutto questo, che dubita dell’esistenza della verità stessa, la quale, alla fine, si mostra essere un personaggio, appunto quella persona che è insieme figlia e moglie e che afferma di se stessa di essere entrambe le cose, per l’incredulità (quasi da urlo munchiano) che con le sue affermazioni causa agli astanti attoniti.
Laudisi il filosofo aveva ragione: la verità è come la signora Ponza, vestita come una divinità greca con un panneggio svolazzante e coperta in viso da un velo, afferma di se stessa: essere cioè a seconda di come la si crede (io sono colei che mi si crede). La verità, come afferma Laudisi nei suoi monologhi, non ha un per sé, la verità è il fantasma di cui ciascuno si convince, come nella commedia in cui a turno i personaggi – la madre o il marito – si convincono per dare un rimedio al loro dolore, così intenso che ciascuno di loro è disposto, se non fosse per l’imperterrito intervento degli altri, a coprire l’altro pur di preservare la verità in cui crede e di risparmiarsi la sofferenza per l’apprendere il contrario.
La verità di per sé non esiste, o se esiste è nel modo in cui la si vuole credere, un genere molto particolare di adequatio rei et intellectus che però fa della cosa quel che è non perché pensata o intuita ma perché creduta, senza alcuna possibilità di prova o di smentita.
Ecco allora cosa accade agli uomini che vogliono sapere a ogni costo, e che soprattutto vogliono sapere con certezza: è lo sconcerto, la paura e il terrore dipinti sui volti di tutti i personaggi una volta ascoltato il discorso della verità. Ma la filosofia, quella derisa dal consigliere Agazzi sentendola praticare dal cognato, è la virtù dei forti, come appunto Laudisi, che sa e che appunto per questo può alla fine deridere gli altri sollevato e sereno nell’animo. Soltanto per lui la signora Ponza – secondo l’onomastica pirandelliana molto probabilmente figlia putativa del Ponzio Pilato del vangelo giovanneo – non è una novità. Quid est veritas? È l’ironia compiuta nel sorriso della riuscita della commedia come volevasi dimostrare.