Recensione a:
Aa. Vv., Cosmos?, Numero 54 di Krisis, octobre 2022, pagine 142, € 18,00
di Alberto Giovanni Biuso
(www.biuso.eu)
Per noi che vi abitiamo dentro e ne siamo dunque una parte, ogni tesi sull’intero, sull’universo non può che risultare un’ipotesi, una direzione, un tentativo. Tra i numerosi tentativi, direzioni e ipotesi, la più epistemologicamente equilibrata e razionalmente plausibile è che l’universo come totalità e il cosmo come ordine di questa totalità siano eterni, che dunque la materia sia senza inizio e senza fine, che l’universo – composto dalla materia percepibile con i sensi e con gli strumenti umani e da quella la cui struttura li eccede – sia una totalità infinita certamente nel tempo e nella durata e forse anche nello spazio. Senza escludere che lo spazio e il tempo da noi conosciuti siano parte di un intero le cui modalità ignoriamo.
Il razionalismo aristotelico conferma le tesi di alcuni cosmologi delle origini, sostenendo «l’absence de commencement en invoquant le principe selon lequel rien ne peut surgir de rien : si l’universe ne peut naître ex nihilo, il doit avoir toujours existé, et le temps doit s’étendre indéfiniment dans le passé comme dans le futur» (Jean-Pierre Luminet, p. 54). Più in generale la creazione ex nihilo è «inconnue dans le monde indo-européen» (Jean Haudry, 6). Nel linguaggio e con i metodi della fisica e delle cosmologie contemporanee questo implica
«deux possibilités. Ou bien l’univers a eu un réel commencement, un ‘temps zéro’ singulier que nous appelons communément Big Bang, ou bien il n’y pas eu de commencement, et ce qui a été appelé Big Bang a été en fait un ‘grand rebond’ (Big Bounce), c’est-à-dire une transition entre une ère cosmologique précédente et la phase d’expansion actuelle. […] L’univers est éternel, consistant en une suite infinie de cycles, comme dans les cosmogonies des Babyloniens et des Égyptiens ou les mythes de l’Éternel Retour» (Luminet, 52).
L’ipotesi dell’eternità della materia/universo è confermata dalle critiche sempre più diffuse e argomentate che va ricevendo il modello (ancora) standard del cosiddetto, appunto, ‘Big Bang’, il quale delineerebbe una problematica singolarità impossibile da comprendere e persino da studiare sulla base delle leggi conosciute e dei metodi di indagine scientifici. Il tentativo perseguito da più parti di unificare la relatività generale e la fisica quantistica ha tra le sue condizioni e conseguenze il superare questa singolarità, riaffermando «l’éternité du temps passé, éliminant ainsi la problématique notion théologique de ‘cause première’» (Luminet, 55), sostituita da una transizione avvenuta tra due stati differenti dell’universo. Ipotesi che ha dunque il plurale vantaggio di rendere superflui i problematici concetti di: a) ‘universo inflazionario’; b) causa prima; c) condizione ‘precedente’ il Big Bang.
Un panorama, quello qui sinteticamente delineato, che conferma la sottile ma preoccupante presenza di elementi del tutto non scientifici e irrazionali – o quantomeno ‘metafisici’ – in varie ipotesi fisico-cosmologiche contemporanee. Tra questi elementi c’è il bisogno di ricondurre la varietà inconcepibile e immensa delle componenti materiche e delle leggi che le guidano a un unico elemento, a una sola legge, come quella che dovrebbe unificare le quattro forze fondamentali: gravitazione, elettromagnetismo, forza nucleare forte e forza nucleare debole. Si tratta di un tipico bisogno neoplatonico, teso a privilegiare l’identità rispetto alla differenza.
Bisogna inoltre aggiungere la confusione tra inerzia e massa a proposito del fin troppo (teologicamente) celebre bosone di Higgs e soprattutto la perdurante incompatibilità all’interno del modello cosmologico standard della «relativité générale pour la géométrie à ‘grande échelle’ de l’espace-temps» e della «physique quantique pour le comportement microscopique de son contenu matériel et énergétique» (Luminet, 50).
Si tratta di difficoltà che permettono di valutare meglio le tesi ‘metafisiche’ e matematiche di Pitagora e del suo più importante successore, Platone, i quali individuano in un elemento appunto matematico, il numero 5, la struttura che unifica l’universo e lo rende comprensibile. Il 5 come unione originaria del primo numero pari, il 2, con il primo numero dispari, il 3.
Tra i contemporanei, è stato soprattutto Jean-François Mattéi a richiamare l’attenzione su questa ipotesi matematico-razionalistica di ordine dell’intero:
«La pentade est l’astre qui gouverne la brillante et novatrice lecture qui Mattéi propose, non seulement de la philosophie platonicienne, mais de la philosophie dans son ensemble. […] Citons, sans souci d’exhaustivité, les 5 genres du Sophistes, les 5 forme du Philèbe, les 5 polyèdres du Timée, les 5 niveaux de connaissance et les 5 degrés de l’être dans la République, les 5 formes de constitution politique dans le même dialogue, les 5 degrés de l’initiation amoureuse de Diotime dans Le banquet» (Baptiste Rappin, 38).
E non si tratta soltanto di matematizzazione. A fondamento delle cosmologie antiche sta l’ipotesi realistica fondamentale, quella che non fa dipendere l’esistenza e le modalità del cosmo dalle percezioni, azioni e calcoli di una sua infima e inconsistente parte: noi. Dismisura che invece sta a fondamento della interpretazione di Copenhagen della fisica quantistica. Davvero ogni idealismo così come «la pensée constructiviste s’est développée à partir du sophisme anthropocentriste (la proclamation de Protagoras selon laquelle ‘l’homme est la mesure de toutes choses’)» (Jure Georges Vujic, 93).
Fa dunque bene Wolfgang Smith a ricordare la posizione anticartesiana e anticostruttivistica di James Gibson, il quale «a établi ce qu’il nomme une ‘théorie écologique de la perception visuelle’ afin de montrer que ce qui est effectivement perçu, loin de se réduire à un simple res cogitans, touche à la réalité corporelle de notre environnement» (58).
Altri saggi molto interessanti di questo prezioso numero di Krisis sono dedicati a intendere la cosmologia nel più vasto ambito dei saperi e dei comportamenti.
Così Serge Thibaut invita ancora una volta a distinguere un elemento del pensiero antico – l’etica – da uno del mondo contemporaneo – la morale. Scrive infatti che è fondamentale «la distinction qu’il convient de tenir à chaque instant entre l’éthique antique et la morale. Si cette dernière suppose des commandements et, partant, un système d’obligations à partire desquelles se trouve prescrit de suivre le bien er de fuir le mal, l’éthique, elle, est exempte de cette obéissance à des commandements et de cette dichotomie entre le bien et le mal» (85), essendo l’etica un modo di abitare il mondo nella sua varietà, complessità e sacralità.
Françoise Lesourd conduce una suggestiva indagine dentro la corrente del ‘cosmismo’ russo dell’Otto-Novecento, evidenziandone le sorprendenti analogie con le tendenze transumaniste che provengono oggi dagli USA: «‘repousser les frontières de la mort’ et ‘coloniser l’espace’» (113).
Jure Georges Vujic ricorda come l’introduzione del tempo meccanico degli orologi, tempo che arriva a battere il minuto, cosa sino alla Rivoluzione industriale impensabile e anche inutile, è stata una delle condizioni fondamentali dell’avvento del «capitalisme industriel qui, au nom de la maximisation machiniste du travail et de la rentabilité, ouvrira la voie à une nouvelle économie marchande du temps» (94).
Come si vede, la questione del cosmo è inseparabile dal senso che gli umani cercano di dare alle loro esistenze, la questione della materia è profondamente coniugata a quella del tempo.