Recensione a:
Ugo Spirito, L’avvenire della globalizzazione. Scritti giornalistici (1969-1979)
A cura di Danilo Breschi
Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice – Luni Editrice, Milano 2022
Pagine 392
€25,00
di Alberto Giovanni Biuso
www.biuso.eu
Ugo Spirito (1896-1979) ha attraversato quasi per intero il Novecento. Allievo principale di Giovanni Gentile, si allontanò dall’attualismo per una esigenza di ricerca, innovazione, slancio verso il futuro che percorre anche gli scritti giornalistici degli ultimi dieci anni di vita, selezionati, raccolti e introdotti da Danilo Breschi.
A Gentile il suo antico allievo dedica parole di profonda gratitudine sia per quello che da lui ha imparato sia per la cortesia, la disponibilità, l’affetto che segnavano la sua persona: «Così umano, così dolce, paterno. Sì, era proprio un padre. Certe volte, quando faceva lezione, quando mi parlava, mi venivano le lacrime agli occhi» (p. 282). Gentile è un filosofo complesso, la cui limpidezza di scrittura nasconde e insieme esalta la stratificazione e la moltiplicazione delle conoscenze e delle prospettive. Spirito ne assorbe lungo tutto il proprio percorso l’immanentismo radicale, l’antropocentrismo, il panteismo per volgere poi – in modalità anche sconcertanti – queste radici in qualcosa che dal pensiero di Gentile è davvero assai distante.
Così il panteismo deve servire a «capovolgere il Gentile dell’autocoscienza e portarlo all’incoscienza» (284). Incoscienza che ha almeno un doppio significato.
Il primo è il superamento della soggettività umana in un orizzonte appunto panteistico, nel quale «si giunge alla identificazione di scienza e religione. Io credo in un Dio di cui ignoro gli attributi, in un Dio infinito, in una dimensione che la mente umana non può concepire. Quando mi desto al mattino e vedo l’ordine cosmico e le creature umane e la natura, vedo Dio» (260).
Il secondo significato, ancora più ampio e radicale, è la trasformazione dell’antropocentrismo di Gentile in un transumanismo che vede nell’umano un’espressione del divenire oggettivo, cosmico e materico, nel quale volontà, libertà, autocoscienza sono delle illusioni. La sua filosofia dà «della psiche umana una interpretazione che riduce l’anima al corpo; per cui cadono tutti i concetti di responsabilità, di imputabilità e di autonomia su cui erano fondate le scienze umane prima di Freud» (87).
Si tratta di un determinismo somatico e ambientale per il quale «il luogo di nascita è determinante, come sono determinanti tutti i fattori della nostra esistenza» (94). Un determinismo relazionale per il quale «chiudersi nella nostra coscienza non può avere significato. La libertà come autonomia, come possesso esclusivo di sé, come libertà interiore, come affermazione del singolo, è soltanto un’illusione velleitaria» (152). Un determinismo metafisico per il quale «la realtà ha una logica interna, superiore alle contingenze e si impone non ostante ogni sforzo velleitario» (220).
Il problematicismo – così Spirito definì la propria filosofia – che si esprime in questi testi e in varie sue opere è una teoresi esplicitamente antitradizionalista, una sorta di positivismo critico che vive di una fiducia profonda nelle scienze e nelle loro espressioni tecnologiche, per quanto non ne nasconda i rischi anche esiziali. In alcuni articoli del 1969 Spirito mostra un notevole ottimismo (ovviamente smentito poi dai fatti) sugli sviluppi della tecnologia, in particolare dell’astronautica, come propedeutici a una conciliazione tra le grandi potenze, USA e URSS.
La «filosofia come scienza del tutto» sarebbe per questo pensatore finita e sostituita da una prospettiva tecnocratica di impianto platonico per la quale a governare – al di là di ogni illusoria fiducia nel δῆμος e nel numero – non possono che essere delle minoranze, «i pochi che sanno imporsi al di là di ogni criterio quantitativo» (105), i più competenti, che siano scienziati, tecnici, filosofi, ma non certamente i politici di professione e di scarsa o inesistente cultura. E dunque Ugo Spirito ha lavorato e si è espresso attivamente a favore della «risoluzione della politica nella scienza» (140).
I rischi, le ingenuità e i controsensi di una tale ‘risoluzione’ sono evidenti. Lo sono stati anche in anni recenti, non soltanto dal punto di vista filosofico ed epistemologico – basti ricordare il disvelamento e l’abbattimento delle pretese di ogni scientismo da parte di Kuhn e soprattutto di Feyerabend – ma anche da quello prassico e politico.
Ma Spirito è un filosofo dai molti strati e se da una parte difende scienze e tecnocrazia, dall’altra è del tutto consapevole del totalitarismo dei media – «I mezzi di comunicazione di massa mi dominano in maniera assoluta» (353) – da cui discende la possibilità di nuovi regimi dispotici, di comunità collettive e stati politici i quali «richiedono l’imprimatur per ogni espressione di opinioni personali» (226), definizione che Spirito applica ai regimi fascisti.
Del professore universitario Ugo Spirito dedito interamente ai suoi allievi, alla ricerca, alla comprensione del mondo e del futuro (tema che sta al centro di questi scritti), del filosofo che vede giustamente un privilegio nel poter fare di ogni attimo della vita una forma e un’espressione della passione conoscitiva, possiamo dire ciò che un suo allievo, Hervé A. Cavallera, dice di se stesso in una delle testimonianze che chiudono il libro: «Ho scritto su ciò che mi interessava e ho sviluppato analisi di tematiche che mi servivano per meglio comprendere la realtà» (371).
I testi qui raccolti da Breschi, vivaci, del tutto chiari, polemici, a volte ironici sino al sarcasmo ma sempre di natura teoretico-politica, appaiono spesso sorprendenti per la loro capacità di cogliere a fondo il presente nei quali furono pensati e di anticipare alcune delle tendenze di ciò che oggi è il nostro presente: il potere della tecnica, lo svuotamento dall’interno delle istituzioni politiche e soprattutto la questione ambientale lucidamente unita a quella demografica:
Nell’ultimo secolo l’aumento della popolazione mondiale ha assunto tali proporzioni da diventare il problema dominante dei prossimi decenni. […] Una dose sempre maggiore di inquinamenti è determinata e sarà determinata appunto dall’esplosione demografica alla quale stiamo assistendo. O fermiamo l’aumento delle nascite o andiamo verso la fame. […] Il mondo non si era trovato mai di fronte a un aumento così vertiginoso. […] E impegnarsi con tutta la loro forza nella propaganda dei mezzi anticoncezionali. È una propaganda che dovrebbe estendersi anche e soprattutto verso i paesi sottosviluppati (77-78).
Se Ugo Spirito fosse stato meglio ascoltato in questo suo mettere in guardia dalle conseguenze assolutamente rovinose di una demografia fuori controllo, il peso di fenomeni come le migrazioni che stanno cambiando il volto dell’Europa e generando le condizioni per conflitti etnici oppure la progressiva e drammatica carenza di risorse (idriche soprattutto) o ancora la distruzione dell’ambiente come conseguenza di un numero impressionante di individui di una sola specie (la nostra), se lo si fosse ascoltato, tutto questo sarebbe ora meno drammatico. Ma non è mai troppo tardi per imparare dai filosofi.