di Concetta Falcone
Ma anche se così non era, era lo stesso
un essere vecchio e stupido e anche se
era stata la tartaruga a vomitare l’universo
tutt’intero, questo non cambiava il fatto
della sua stupidità.[1]
- La ricerca dell’arché nella filosofia antica
Che l’universo sia sorto per cause suscettibili a indagine scientifica (come il Big Bang) o per cause di matrice mitica o religiosa (come per atto volontario di un Dio creatore) è una questione che ha sollecitato l’intelletto umano fin dal principio. A partire dal dato inconfutabile della nostra esistenza, interrogarsi sull’origine di tale esistenza, ovvero sulla genesi di un mondo composto di elementi primari o primigeni (terra, acqua, fuoco, aria, numeri, figure, e così via) sembra ormai anacronistico; una domanda che talvolta riaffiora nella nostra mente, ma non degna di essere presa seriamente in considerazione. In altre parole, la questione delle origini appare quasi “fuori moda” nella cultura contemporanea. Eppure non è stato sempre così.
Partiamo da una semplice constatazione: sfogliando un qualsiasi manuale di storia della filosofia[2] chiunque può notare come i primi filosofi (chiamati “della Ionia” per la loro provenienza geografica) si siano posti come primo problema il comprendere la nascita del mondo in cui siamo immersi, spesso additando come causa principiale (arché; ovvero causa e principio insieme)[3] elementi naturali: per Talete il principio del mondo andava ricercato nella materia acquosa, per Anassimene nell’aria. Eraclito, coerentemente con il concetto di divenire perpetuo che sta alla base del suo pensiero, individua l’arché nel più dinamico e cangiante degli elementi: il fuoco, che assomma in sé tutte le cose contraddittorie. Ancora secondo Empedocle, che pure vive due secoli dopo gli Ionici, tutte le cose derivano dalla mescolanza di quattro elementi: fuoco, aria, terra, acqua. Risulta interessante come il ricorso a principi naturali accomuni sia i filosofi monisti (Talete, Anassimene, Eraclito) che i pluralisti (Empedocle), manifestando quell’interesse per la physis considerato caratterizzante per i cosiddetti “presocratici”.
Proseguendo questa rapida rassegna possiamo notare che a un certo punto si verifica un cambiamento importante: la genesi del cosmo non è più ricondotta agli elementi naturali, ma alle forme geometriche. Tale è la cosmogonia del Timeo di Platone[4]: il demiurgo plasma la materia preesistente (chora), indistinta e caotica, secondo dei principi che sono geometrici (cubo, icosaedro, dodecaedro etc.). Ne deriva che l’universo è strutturato matematicamente (in ciò Platone manifesta il suo “debito” verso il pitagorismo) e che lo stesso mondo fisico ha radici matematiche: i principi elementari dell’universo sono i triangoli rettangoli. Il demiurgo mescola in un cratere le figure per creare proporzioni geometriche. Traccia poi due cerchi, combinati insieme, che ruotano nel verso opposto l’uno all’altro: sono identico e diverso, essere e non essere. Con tale rotazione i principi si mescolano in armonia: l’universo perciò è bello, vivo, armonico. Nella cosmogonia platonica è presente l’aspetto meccanicistico (chora) e anche quello finalistico (il demiurgo opera in funzione della bellezza), ma non c’è provvidenza (il demiurgo si limita all’atto creativo, intervenendo su una materia eterna, e non interviene in seguito). Dopo aver creato l’anima del mondo (sul modello buono delle idee), il demiurgo “tornisce” il corpo del mondo per dargli una forma sferica. Gli astri, divinità create dal demiurgo, plasmano allo stesso modo il capo dell’uomo e ricevono dal demiurgo i rimasugli dell’anima del mondo per porli nella mente umana come istanza razionale, insieme alle istanze volitive tratte dalla materia. è in virtù di tale analogia fra creazione del mondo e dell’uomo, fra anima del mondo e anima umana, che l’uomo può conoscere.
Sebbene nella manualistica e nella tradizione della Scolastica medievale si trovi talvolta assimilato a un “creatore”, non può essere considerato tale il Primo Motore Immobile di Aristotele: esso è principio primo del movimento dell’universo, il quale è ingenerato. Questo Dio è motore, ma non creatore dell’universo e, in quanto perennemente immobile, non è un principio fisico (la fisica per Aristotele è la scienza degli enti in movimento), bensì metafisico. Esso è pura forma, ed essendo immobile è anche “atto puro”, quindi esclude da sé ogni materialità: questo è un altro elemento che impedisce al fisico di trattare del Primo Motore Immobile, in quanto la fisica si occupa di enti materiali in movimento. In quanto forma pura esso è sostanza prima, perfezione compiuta in sé: dunque non ha potenza ed è perennemente in atto. Esso ha funzione di causalità finale, oltre che di causa motrice: muove il cosmo “come oggetto di amore”; ciò significa che gli altri motori si muovono in funzione di lui, che è il fine a cui l’universo tende. Esso è atto intellettivo puro, pensiero di pensiero: non rimanda a qualcosa fuori di sé, ma ha il fine in sé stesso. Esso è realtà assoluta del bene in quanto fine a cui tutto tende, ma non è un Dio provvidente[5].
La soluzione teologica del cristianesimo al problema delle origini (creazione da parte di un Dio unico, buono, onnipotente e provvidente, che interviene nella storia umana che è la storia della salvezza) mette in secondo piano le speculazioni filosofiche, comprese quelle sull’origine del mondo: anche quando ci si richiama a un passato remoto e oscuro, le cosmogonie sono accantonate in favore di scenari passati, spesso non meno fantasiosi, ma relativi alla storia remota dell’uomo esaminata in chiave politica (mito delle stirpi, mito dell’età dell’oro, e così via), che tanta fortuna avranno in età medievale e moderna.
- Un revival contemporaneo della cosmogonia
E nell’attualità? Sebbene apparentemente accantonato a livello filosofico o scientifico, il fascino delle cosmogonie trova espressione nella letteratura di ogni tempo, e anche in tanta letteratura contemporanea. Un esempio emblematico in tal senso è quello che si può rintracciare nel romanzo horror o thriller per ragazzi It (1986), dello scrittore americano Stephen King. Esso affronta temi estremamente importanti quali la crescita, la paura e, appunto, la nascita dell’universo e l’origine del male. Alla fine della storia (dettaglio presente nel testo ma non ripreso dall’omonimo sceneggiato del 2017 per la regia di Andy Muschietti) si scopre la vera natura di It (ovvero il pagliaccio Pennywise), che sembra essere il male puro, quasi immortale, da sempre esistito, che si nutre delle paure dell’uomo… vivendo da sempre con una tartaruga. Ma cosa c’entra la tartaruga? Stephen King attribuisce alla tartaruga il ruolo della creazione dei mondi e dell’universo: la testuggine, attraverso il suo rigurgito, dà origine ai pianeti e alle costellazioni. Essa è odiata da It, rappresenta il suo contrario, ciò che lui odia.
La cosmogonia di It può essere letta dunque come una rappresentazione moderna ed originale che unisce le teorie dei filosofi antichi alla modernità. Vi è un essere primordiale che si occupa della generazione di mondi, in quanto si trova al di sopra dell’uomo ed è perpetuo, imperituro e, quasi, immortale; è un essere vivente, è un animale, ma non un animale qualsiasi: la tartaruga è un essere lento, vive la sua vita nel lento scorrere del tempo ed è oltremodo longeva; grazie a lei le cose nascono, si muovono ed hanno un’anima. L’autore di racconti thriller riesce a ritagliare, all’interno di un libro per ragazzi, in maniera a dir poco magistrale, uno spazio in cui il lettore viene portato a riflettere su quello che è il mondo che ci circonda, sul bene che si contrappone al male, la creazione in contrapposizione alla distruzione.
Dunque un tema che, come abbiamo accennato, sembra ormai essere stato declassato ad uno scalino più basso nel novero dei grandi temi della discussione intellettuale, appare riproposto in tutta la sua complessità (e, perché no, il suo fascino senza tempo) da un magistrale scrittore moderno, il quale riesce ad avvicinare il lettore ad un mondo primigenio fantastico, ma allo stesso tempo filosoficamente interessante, che senza soluzione di continuità si richiama alle grandi cosmogonie antiche… con un’aggiunta di qualcosa in più. I filosofi greci, infatti, non si soffermano sul bene o il male nella loro riflessione sulla genesi del mondo, ma esclusivamente sul perché le cose sono piuttosto che non sono: l’introduzione di un persistente elemento etico non solo nella storia dell’umanità, ma già alla radice della creazione, è la grande novità del cristianesimo. Nella cosmogonia di It vi è la sintesi delle cosmogonie materialistiche dei “presocratici” con il problema del male ammesso da un Dio buono: la tartaruga è il Dio buono che crea, la materia cosmica è il suo rigurgito ed ella è un essere naturale che porta il peso di sé stessa e dell’esistenza di noi esseri umani.
[1] S. King, It (It, 1986), trad. di T. Dobner, Sperling & Kupfer 2013, p. 1165.
[2] Cfr. ad esempio P. Donini, F. Ferrari, L’esercizio della ragione nel mondo classico. Profilo della filosofia antica, Einaudi, Torino 2005, pp. 6-12 e 23-26.
[3] Per “causa” (aition) si intende ciò in ragione di cui si produce qualcosa; per “principio” (arché) ciò a partire da cui si produce qualcosa. I due termini non sono sinonimi, ma coincidono di fatto nella speculazione dei filosofi ionici.
[4] Cfr. P. Donini, F. Ferrari, L’esercizio della ragione nel mondo classico. Profilo della filosofia antica, cit., pp. 115-118.
[5] Cfr. ivi, pp. 155-157.