Rigenerare il padre: “Canzoniere scritto solo per amore” di Daniele Piccini

di Pietro Russo

 

Nella celeberrima quanto drammatica scena biblica conosciuta come “Il sacrificio di Isacco” (Gn 22, 1-14), come sappiamo bene alla fine non ci sarà nessun sacrificio filiale; l’unico gesto compiuto dal padre nei confronti del figlio è una legatura (akedàh) di corde. Gli ebrei per riferirsi a questo episodio parlano giustamente della “legatura di Isacco”. È una circostanza straordinaria, potentissima per il suo impatto emotivo e psicologico, quella che sancisce il legame tra padre e figlio sul monte Moria, tanto più che la sacra Scrittura, a volte molto generosa di dettagli, non ci dice del momento in cui Isacco venne successivamente slegato. Si potrebbe quindi dedurre che forse questo nodo non verrà sciolto mai, né sul monte Moria né altrove. Come scrive Erri De Luca: «Da loro in poi, il rapporto padre-figlio è una disputa tra un nodo e il suo disfacimento. […] Il nodo stretto tra loro due lassù è irreparabile, c’è stato».[1]

Alla fine del mondo, della civiltà per come siamo abituati a concepirla, in uno scenario apocalittico che concede ben poco alla speranza, ritroviamo questo nodo nella parabola descritta da Cormac McCarthy nel suo iconico romanzo La strada che, per inciso, non sfigurerebbe nel canone veterotestamentario come riscrittura di Genesi. Se torniamo per un momento al passo biblico di Abramo e Isacco, è interessante il punto in cui si dice che Abramo «prese in mano il fuoco e il coltello» (Gn 22, 6). Caduto il coltello per l’intervento divino, rimane un fuoco che McCarthy celebra come la testimonianza della suprema questione d’amore, la consegna del futuro dalle mani del padre a quelle del figlio: «Perché noi portiamo il fuoco».[2] A consegna avvenuta, del figlio-bambino de La strada sappiamo solo che una donna si prende cura di lui e che

 

Ogni tanto la donna gli parlava di Dio. Lui ci provava a parlare con Dio, ma la cosa migliore era parlare con il padre, e infatti ci parlava e non lo dimenticava mai. La donna diceva che andava bene così. Diceva che il respiro di Dio è sempre il respiro di Dio, anche se passa da un uomo all’altro in eterno.[3]

 

Che ne sarà del fuoco da questo momento in avanti McCarthy non lo dice. Niente quindi ci vieta di immaginare che quel bambino, giunto in età adulta, possa essere diventato l’autore di Canzoniere scritto solo per amore, al secolo Daniele Piccini, che tributa un intero libro di poesie al padre morto prematuramente. Nel 2005, quando il libro uscì per i tipi di Jaca Book, il Canzoniere di Piccini venne salutato da più parti come l’opera sorprendentemente matura di un giovane poeta che fino a quel momento aveva pubblicato solo un altro libro, Terra dei voti. Divenuto nel frattempo irreperibile nei circuiti di distribuzione libraria, l’editore Interno Poesia, sempre molto attento alla domanda di poesia nel nostro Paese, lo ripropone in una nuova edizione accresciuta di alcuni inediti e di un ricco apparato paratestuale (la prefazione di Giancarlo Pontiggia, la postfazione di Niccolò Brunelli, nonché una nota dello stesso autore). Dunque, l’inconfutabile identità filiale del poeta di Canzoniere scritto solo per amore ascrive quest’opera nel solco della relazione fissata sul monte Moria, benché in questo caso i due attori della vicenda siano rispettivamente un giovane uomo che prova a farsi carico dell’eredità di una tradizione (il “fuoco”) e una presenza in absentia tanto fantasmatica quanto ossessiva evocata come interlocutore silente, onnisciente, detentore di una verità che va oltre la luce. La questione generativa insita nel libro è il punto di partenza e di approdo di un’esperienza umana che deve scontare la ferita della temporalità: «dovevo io generarti dal fondo».[4] Tutto il Canzoniere si può leggere come tentativo di risposta a questo imperativo da parte di una creatura dimidiata e battezzata dalla mortalità: «Immersi nel finire / cosa siamo stati / […]. / Che cosa non è stato battezzato dalla fine», si chiede Piccini.[5] La parola della poesia, allora, viene convocata a servizio di una coscienza che proietta l’assenza e la finitudine di una vicenda terrena in un altrove, metafisico e, come nei versi d’esordio, financo radente il fantascientifico:

 

Ti porto via

dalla plancia di comando

di questo cimitero

che prende il mare.

[…]

La terra si è ricoperta di fiori,

e io guido la carica della nave

su cui ti sei imbarcato senza dirmi

neanche “ciao” (e lo avresti voluto,

anche per essere un’ultima volta mio).[6]

 

Il passaggio di testimone è avvenuto. È il poeta-figlio che adesso guida i passi (propri) nel mondo. Verso dove? La domanda cruciale che il libro di Piccini si pone è proprio questa. Non sembra che la nave-cimitero abbia una direzione e una meta ben precise, così come il comandante-navigatore non è certo l’Ulisse che il filtro dantesco elegge a eroe dell’episteme. Il viaggio del Canzoniere scritto solo per amore non si prefigge nessun’altra conoscenza che non sia quella ricevuta in eredità dal fuoco paterno che custodito, nelle forme di un amorevole atto di memoria, viene quindi portato per il mondo: «così tu mi dici di andare, / che la polvere della battitura / ci troverà felici».[7]

A un certo punto del viaggio il poeta si trova davanti al bivio del «soffio»[8], che può diventare tanto l’alito che accompagna la dimensione creaturale dell’esistenza quanto una minaccia alle fiamme del fuoco. La risposta di Piccini è un’impasse poetica: «e ora scelgo e riscelgo la tua cenere / come mia paternità senza fine».[9] Come in quelle pratiche di avvitamento ermeneutico infinito attorno a una singola parola, come si può riscontrare ad esempio in certe tradizioni del giudaismo rabbinico, il poeta qui opta per una paternità che vuole sottrarsi alla storia e che riconosce nel dire della poesia una modalità ‘altra’ di ri-generazione mossa da «un sentimento tenace di te / che avevi dato il seme / pensandomi come un’opera / disperata e bellissima»,[10] ovvero uno spazio non intaccato dall’esperienza della perdita dove è possibile interloquire all’infinito con le ombre in una comunione idillica tra vivi e morti.

E forse la trasmissione del fuoco più che interrompersi, in questo libro di Piccini ritorna alla sua origine. Da qui la scelta del titolo su cui insistono sia Pontiggia, che vede «nell’avverbio di limitazione (solo) […] il carattere unitario, concentratissimo, diciamo pure chiuso e monolitico di questo nuovo lavoro»,[11] sia Brunelli che invece si sofferma sul per ravvisandone «un’anfibologia che svela la duplicità di ‘amore’, al contempo centro e recinto, luogo di provenienza e punto di arrivo, mezzo e destinatario totalizzante della poesia di Piccini».[12]

Il fatto è che Canzoniere scritto solo per amore vuole essere un libro di commiato da parte di chi rimane verso un caro defunto – come ad esempio nel Tema dell’addio di De Angelis, curiosamente pubblicato nello stesso anno – ma allo stesso tempo anche una creazione in cui la morte, salpando con il cimitero-nave della poesia d’apertura, si allontana e prende congedo dalla vita. In questo senso, la divisione tra rime “in vita” e “in morte” di Madonna Laura nel Canzoniere di Petrarca – non d’autore, come ben sa il Daniele Piccini valente filologo – potrebbe indirizzarci verso un orizzonte di interpretazione da cui si intravede, inarrivabile, quell’altezza di meditazione poetico-sapienziale che è Il cantico dei cantici: “forte come la morte è l’amore” (Ct 8, 6). Se l’amore è, letteralmente, una privazione della morte, non c’è fine che attenda il viaggio di Piccini:

 

Da quando tu sei morto

amori sono nati

sono spuntate primavere e fiori

albe e notti terrestri,

niente ha cambiato il mondo

come il tuo fiorire silenziosissimo,

non c’è fiore minuscolo ed amore

che ora ti sfugga. Ti credano perso,

ma queste cose sono ancora tue.[13]

 

 

Il fuoco non è stato trasmesso e preservato invano. Il nodo di Abramo regge ancora.

 

[1] E. De Luca, Grandezza naturale, in Id., A grandezza naturale, Feltrinelli, Milano 2023 [2021], p. 30.

[2] C. McCarthy, La strada, trad. di Martina Testa, Einaudi, Torino 2007, p. 64.

[3] Ivi, p. 217.

[4] D. Piccini, Canzoniere scritto solo per amore, Prefazione di G. Pontiggia, Postfazione di N. Brunelli, Interno Poesia Editore, Brindisi 2024, p. 84.

[5] Ivi, p. 39.

[6] Ivi, p. 19.

[7] Ivi, p. 22.

[8] Ibidem.

[9] Ivi, p. 56.

[10] Ivi, p. 88.

[11] G. Pontiggia, Prefazione, in ivi, p. 7.

[12] N. Brunelli, Marginalia al “Canzoniere”, in ivi, p. 127.

[13] D. Piccini, cit., p. 65.

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