La pianista Giulia Russo si racconta a Il Pequod: “Esibirmi nella mia città? Una grande emozione”. Il pianoforte? “Passione, sollievo, rivelazione”
di Paola Giordano
L’intramontabile opera di Pietro Mascagni Cavalleria rusticana, tratta dall’omonima novella di Giovanni Verga è tornata ad animare la città di Vizzini con un Concert Gala, nella piazza principale del paese, piazza Umberto I, a cura dell’Associazione “Coro Lirico Siciliano”. E con Giulia Russo al pianoforte. Un nome ormai noto negli ambienti musicali di alto livello.
Classe 1995, la talentuosa pianista vizzinese ha ottenuto il Diploma e la Laurea Specialistica con massimo dei voti, lode, dignità di stampa della tesi e incisione discografica sotto la guida del Maestro Maria Santina Schillaci presso l’Istituto Superiore di Studi Musicali “Vincenzo Bellini” di Catania.
Nonostante abbia già calcato da camerista e solista importanti palcoscenici, come il Mozarteum di Salisburgo, e abbia partecipato e vinto premi in rinomati concorsi internazionali, la sua sete di conoscenza della musica è in continua crescita: dalle masterclass con grandi maestri quali Canino, Achùcarro, Gruzman, Troull, Lupo, Lucchesini e Egorova al corso biennale specialistico presso l’Accademia del Ridotto di Stradella (PV), sotto la guida del Maestro Delle Vigne, e al Triennio Specialistico di Musica da Camera al Centro Studi Musica e Arte di Firenze con il Maestro Masi.
Una giovane musicista che continuerà insomma a far parlare di sé. E che ho intervistato poco prima del secondo appuntamento delle Verghiane 2020.
Giulia, confrontarsi con l’opera di un artista dello spessore di Pietro Mascagni: grossa responsabilità o orgoglio?
“Diciamo che per me è entrambe le cose, anche perché orgoglio e responsabilità sono consequenziali e anzi direi che vanno di pari passo. Sono talmente orgogliosa di mettere in scena un’opera intramontabile, tra le più rappresentate e amate al mondo e così legata indissolubilmente al nostro paese, che sento come un dovere morale quello di cimentarmi dando fondo a tutte le mie energie. Tutto questo sicuramente mi dà una grande carica positiva”.
Grazie alla novella verghiana Cavalleria rusticana (da cui è tratta l’opera lirica messa in scena il 5 settembre) Vizzini ha raggiunto i più prestigiosi ambienti accademici e letterari. Cosa vuol dire per lei esibirsi al pianoforte con quest’opera?
“Studiare un’opera al pianoforte non è mai impresa semplice, perché bisogna pur sempre surrogare l’orchestra e la sua grande varietà di timbri, effetti e peculiarità dei singoli strumenti che vanno assolutamente rintracciate nello spartito e imitate per quanto possibile. Quindi si tratta di avere un’intera orchestra sotto le mani, superando la dimensione pianistica in sé per raggiungerne invece una sinfonica. Dalla mia parte ho sicuramente l’esperienza maturata lavorando con importanti direttori d’orchestra che mi hanno trasmesso le loro intenzioni ed idee musicali, assistendo a svariate rappresentazioni e ascoltando quest’opera nei più disparati contesti quotidiani”.
E cosa vuol dire esibirsi proprio nella sua città, la stessa che regalò i natali al Verga?
“Non nascondo che esibirmi a Vizzini suscita in me sempre e puntualmente una grande emozione. Noi artisti viviamo, ci nutriamo di emozione e di condivisione e quando mi ritrovo a confrontarmi con un’opera che noi vizzinesi ormai abbiamo nel nostro dna, l’adrenalina sale alle stelle. Io penso che se le nostre strade e le nostre campagne potessero parlare, racconterebbero le storie di Verga e ci inebrierebbero di questa musica. Quindi alla fine ci si sente un tutt’uno. Nonostante le controversie nate tra Verga e Mascagni è innegabile che quest’ultimo colse la linfa vitale dei personaggi e delle vicende narrate dallo scrittore. Il risultato del connubio tra questi due grandi maestri è travolgente. Credo che Verga stesso si sentisse violato e derubato della sua anima”.
Come ha vissuto il fatto di tornare ad esibirsi di fronte ad una platea dopo la pausa forzata dettata dalla pandemia?
“Come ho detto prima noi artisti viviamo di condivisione e il calore e l’affetto del pubblico è ciò che ci è mancato di più. Durante il lockdown ho aderito a diverse lodevoli iniziative, quali concerti in diretta streaming o semplici video casalinghi, fatti per esorcizzare il tempo e sentirsi uniti pur nella distanza, ma solo l’esibizione dal vivo ti mette in condizioni di dare quel quid in più che nemmeno ci aspetteremmo da noi stessi e dalla nostra mera preparazione. Quando ci rendiamo conto che chi viene ad assistere ci affida il suo tempo, le sue preoccupazioni, il suo desiderio di evadere e si abbandona alla nostra musica, si crea una vera e propria magia”.
Prima di ogni esibizione ha un rito scaramantico che è solita fare?
“Eh, qui andiamo sul personale, però si, confesso, ho i miei riti scaramantici. Prima di ogni concerto indosso un oggetto regalatomi da una persona molto cara e poco prima di andare in scena mangio ‘un poco’ di cioccolato per tirarmi su. Una volta assolti questi rituali, non mi resta che attendere”.
Ci racconti un po’ di lei: quando è nata la passione per il pianoforte? E quando è diventata anche una professione?
“La passione per il pianoforte è nata per caso ma è stato amore a prima vista. Non avendo altri musicisti in famiglia non ho mai trovato l’ispirazione all’interno delle mura domestiche, anche se ho sempre ascoltato e apprezzato la musica, pur non contemplandola tra i miei progetti. Poi all’età di dieci anni decisi di iscrivermi ad un corso gratuito di strumento presso l’associazione “Il Pentagramma” di Vizzini e in quell’occasione scelsi il pianoforte quasi a caso, ma non appena mi ritrovai di fronte alla tastiera, capii immediatamente che sarebbe stato il mio compagno di vita. È stato un momento così determinante che lo ricordo ancora in maniera nitida. Da lì è stato tutto un susseguirsi di studio, sacrifici, esibizioni, traguardi e in maniera del tutto spontanea e naturale la musica è arrivata ad occupare la maggior parte del mio tempo. Adesso essa per me rappresenta oltre che la mia più grande passione, la mia professione, e mi piace intendere questo termine in una maniera più ampia, perché in fondo avere a che fare con la musica significa professare, perseguire un vero e proprio credo”.
Quali sono i suoi prossimi progetti professionali? Ci sarà ancora spazio per Vizzini a breve termine?
“Attualmente sto lavorando ad un progetto molto importante con il trio Clementi, di cui faccio parte, che spero tra l’altro di presentare anche qui a Vizzini. Stiamo infatti per incidere un cd monografico di opere di Gaetano Corticelli e contemporaneamente pubblicheremo un’edizione critica, redatta da noi, dei tre trii composti da questo autore. Essi sono delle vere e proprio perle che saremmo felici di far conoscere anche alla platea vizzinese”.
Quali sono, in base alla sua esperienza, le caratteristiche che un artista deve avere per arrivare ai livelli più alti? E quali quelle che invece non deve avere?
“Secondo me per riuscire a raggiungere le vette più alte in ambito musicale occorrono prima di tutto costanza e resilienza: esse sono propedeutiche un po’ a tutto, così come nella vita anche nella musica. Però ritengo che a fare la differenza e a rendere l’artista unico siano la sensibilità e la capacità di trascendere la dimensione tecnico-pratica per arrivare a comunicare qualcosa di impronunciabile, impalpabile, qualcosa che ha a che fare con i sentimenti più sinceri e con i più alti ideali che l’umanità porta con sé. Essi risuonano dentro di noi, sono archetipi, l’eredità del nostro pensiero storico. Un grosso limite invece è quello di pensare che ci sia un punto d’arrivo, quando invece lo studio della musica è ricerca continua”.
Un’ultima domanda: cos’è per lei il pianoforte in tre parole.
“Passione, sollievo, rivelazione”.