di Paola Giordano
Non era facile quest’anno mettere in piedi le Verghiane. Una pandemia ha stravolto le vite e le abitudini di tutti e il mondo dello spettacolo ha pagato – e sta tuttora pagando – forse lo scotto più alto delle restrizioni imposte per contenere la diffusione del Covid-19. È stato complicato pianificarle, non è mancato qualche intoppo e pure il tempo (quello atmosferico) ha mostrato la sua indole tiranna, con l’ultima delle tre giornate posticipata di una settimana a causa della pioggia. Eppure anche l’edizione 2020 – la cinquantesima – è andata in porto. Tra distanziamenti dei posti a sedere, mascherine ma, soprattutto, con il peso della prematura scomparsa di Giuseppe Mazzone, pilastro – insieme al padre Alfredo e al fratello Giampiero – delle Rappresentazioni che da decenni celebrano lo scrittore simbolo del verismo e di Vizzini, Giovanni Verga.
Proprio perché si è trattato di un’edizione per certi aspetti straordinaria (nel senso latino del termine: fuori dall’ordinario) abbiamo voluto dedicare a queste Verghiane uno spazio “speciale” all’interno del secondo numero de Il Pequod: perché – parafrasando lo scrittore racalmutese Leonardo Sciascia – ce ne ricorderemo di queste Verghiane.
Le Verghiane presero infatti il via nel 1972, grazie al genio creativo del regista Alfredo Mazzone che, con L’amante di Gramigna, inaugurò le fortunate manifestazioni teatrali che dal noto scrittore verista prendono il nome. E proprio per omaggiare chi di quelle manifestazioni fu l’artefice, lo scorso sabato 30 agosto l’associazione teatrale “Buio in sala” – diretta dal regista Giuseppe Bisicchia – ha messo in scena proprio la novella dalla quale partì tutto.
Fu proprio Alfredo Mazzone a portare per le strade, nelle piazze, sui sagrati delle chiese vizzinesi i personaggi verghiani, facendoli interpretare ad artisti del calibro di Arnoldo Foà, Regina Bianchi, Turi Ferro, Giulio Brogi, Orso Maria Guerrini e Fioretta Mari: a lui si deve la scelta di trasformare quelle strade, quelle piazze, quei sagrati delle chiese vizzinesi in palcoscenici a cielo aperto, in quello che fu definito “Teatro della reviviscenza”.
L’idea era semplice e proprio per questo acuta: allestire le scene all’aperto, in quegli stessi luoghi in cui Verga aveva immaginato parlare, camminare, “funzionare” i suoi personaggi, per far sì che lo spettatore potesse immergersi completamente nella storia e, anzi, potesse esso stesso farne parte. Come accadde per quel primo spettacolo, Gramigna, recitato in una cava appena fuori Vizzini.
Il primo appuntamento dell’edizione 2020 è sì un ritorno alle origini, a quella prima novella da cui tutto partì, ma con una rivisitazione della sceneggiatura del tutto originale a opera di Massimo Giustolisi che, in una lunga e appassionata intervista riportata nelle pagine successive, ce ne racconta la genesi.
Nella seconda serata, sabato 5 settembre, è stato rappresentato un cult del mondo verghiano, un’opera tra le più conosciute: Cavalleria Rusticana, messa in scena dal Coro Lirico Siciliano, con l’accompagnamento musicale di Marco Mazzamuto al violino e della vizzinese Giulia Russo al pianoforte. Quest’ultima – tornata ad esibirsi, come tutti gli artisti coinvolti in queste Verghiane, dopo mesi di pausa forzata – ha descritto l’emozione e il desiderio di tornare a suonare il piano di fronte ad un pubblico vero.
Per l’ultimo spettacolo – rimandato, come si è detto, di una settimana a causa del meteo inclemente – la città di Vizzini ha accolto il poliedrico Andrea Tidona, che per l’occasione ha pensato di affrontare un tema, quello dell’amore e delle sue svariate sfaccettature, leggendo – magistralmente – dei brani tratti dal Mastro-don Gesualdo, dalla Lupa e da Jeli il pastore, accompagnato dagli intermezzi musicali di Roberto Fuzio e dalle musiche di un altro bravissimo musicista vizzinese, Andrea Sciacca, al quale abbiamo dedicato la terza intervista di questo “speciale”.
Tre spettacoli che pur diversi l’uno dall’altro hanno regalato alla città di Vizzini – e non solo – un’occasione di incontro e confronto con il suo celebre concittadino, Giovanni Verga. Che – a futura memoria – speriamo non sia l’ultima.