Luciano Canfora,
La democrazia dei signori
Laterza, Roma-Bari 2022
Pagine 88
di Stefano Piazzese
Uno sguardo storico al presente non può non rilevare la crisi che riguarda il sistema democratico italiano, in particolar modo a partire dagli eventi del 2011. Secondo Canfora, una causa della situazione problematica che viviamo è rinvenibile nella doppiezza che si manifesta nella tendenza per cui la politica di un paese democratico arrivi a parlare del popolo con disdegno e con distanza: qui il termine populismo è inteso in modo del tutto negativo.
La ‘demonizzazione’ della nozione e della realtà storica di popolo può essere legittimata, o confermata, da una vasta tradizione filosofica che prendendo le mosse da Platone arriva sino a Tocqueville. Va da sé che la tradizione a cui si fa riferimento aveva il pregio di non nascondere dietro funamboli lessicali la propria posizione, di non adombrare attraverso gli orpelli della retorica ciò che intendeva affermare. In merito a ciò, è possibile constatare la precarietà contenutistica della dimensione teorico-prassica di molti democratici attuali, «fustigatori di ciò che nebulosamente bollano come ‘populismo’ non avendo l’onestà di interrogarsi sul nesso tra le proprie scelte e il conseguente successo del torbido fenomeno, snobisticamente definito ‘populista’, che da anni ormai li tiene in scacco» (p. X). Questa doppiezza non è ammissibile, secondo Canfora, poiché equivarrebbe a proclamarsi democratici e, nel contempo, avallare una repugnanza, de facto, nei confronti della Costituzione, la quale afferma che la sovranità appartiene al popolo. Sovranismo è diventato un temine oscuro, ambiguo nella sua polivalenza storico-semantica, e dunque difficile da comprendere in riferimento alla realtà politica.
Cos’è accaduto in Italia a partire dal 2011 fino alla fine del 2021? La Presidenza della Repubblica è diventata l’unico ingranaggio della complessa macchina democratica su cui fare affidamento per cambiare il governo del Paese, per la quale «chi ha messo in moto l’operazione ha ben studiato gli spazi di manovra offerti dal nostro ordinamento, pervenendo alla conclusione che una interpretazione estensiva dei poteri e del ruolo del presidente consentiva di procedere al ‘cambio’ e alla nascita di governi ‘consentanei’» (p. 4).
Il risultato di questa strategia politica, che certamente costituisce un caso sui generis nella storia della Repubblica italiana, è l’alternarsi, lungo un trentennio, di soluzioni delle crisi politiche definite ‘irregolari’. Basti pensare ai nomi di Ciampi, Monti, Draghi. Molto dure sono le osservazioni di Canfora quando fa riferimento ad alcune dinamiche che riguardano, da qualche decennio, la nostra politica. Difatti, è innegabile che «da tempo i presidenti della Repubblica si regolano come se fosse in vigore da noi la Costituzione della Quinta Repubblica francese, o forse pensano che sia tornato lo Statuto Albertino» (p. 5). Tale dinamica si concretizza nei fatti quando viene convocato dal Presidente colui che, si presume, saprà fronteggiare la situazione.
Vi sono dei casi limite che testimoniano e confermano quelle che sono le aporie della democrazia italiana, e Canfora ne indica uno in particolare, ascrivibile alla presidenza del Consiglio dei ministri, ovvero:
il caso-limite, privo di possibili richiami ad un ‘precedente’, è invece quello di Mario Draghi. Anche Erdoğan, definito proprio da Draghi “un dittatore” (per ripicca allo «sgarbo della sedia»), è stato eletto. Anche Putin, quantunque ciò dia noia ai nostri opinionisti, che fatuamente lo chiamano «zar», è stato eletto e rieletto. E persino l’impresentabile Bolsonaro! (p. 6).
La doppiezza, qui, risiede nella polemica condotta da molti democratici in riferimento ai personaggi appena citati, difatti in essi vi sarebbero dei tratti politici che certamente si trovano in pieno contrasto con la pars democratica. Eppure, senza voler entrare nel merito dell’operato governativo dei personaggi in questione, la loro presenza nello scenario politico attuale è il risultato di un assenso parlamentare. Sarà forse che l’aggettivo democratico costituisce, oramai, un’arma con cui discriminare, senza alcun criterio di coerenza, determinate figure politiche ritenute scomode alla narrazione/linea dominante?
I poteri che realmente governano il Paese sembrano scavalcare alcune dinamiche che la vita democratica impone. Vi è un mutamento in atto che comporta una ridefinizione della figura, del ruolo e del percorso che il politico deve seguire. Tale mutamento è accettato da tutte le forze politiche del parlamento, è avallato da quasi tutti i partiti. La sfiducia nei confronti della politica e l’assenteismo delle masse hanno accentuato questo fenomeno. Il parlamento risulta impoverito nelle sue funzioni reali:
oggi «le forze che contano» – giunto al capolinea il suffragio universale – commissariano in prima persona lo Stato e addomesticano il Parlamento arruolando (quasi) tutti i partiti. Ma i partiti che accettano un tale gioco ne escono malconci, anche se, nella fase iniziale dell’assembramento, ostentano euforia. Salvo, poi, dolersi dell’«assenteismo» delle masse… (p. 31).
L’articolo quarantanove della nostra costituzione risulta essere la cornice parlamentare di una stagione politica ormai superata. È possibile oggi affermare che i cittadini, attraverso i partiti, determinano la politica nazionale? L’unico modo per poter realizzare tale determinazione è il fecondo contrasto, ideale e pratico, tra i partiti. Di questo elemento si sostanzia il sistema democratico; elemento che, secondo l’analisi di Canfora, è quasi del tutto scomparso.
Il richiamo alla Costituzione non è una sterile predica volta a incentivare l’attenzione posta sulle radici storiche del nostro parlamento, bensì un monito che mette in evidenza un pericolo: il lento processo di discredito della costituzione e dei partiti che ha avuto inizio tempo fa.
Addirittura, dai salotti televisivi e dalle arene di opinionisti si sorride in modo compassionevole nei confronti di chi invoca, come punto di riferimento delle proprie considerazioni politiche, la Costituzione, ormai ritenuta archiviabile, vecchia, superata.
Come spiega questo fenomeno Canfora? Sono trascorsi quasi ottant’anni dall’Assemblea Costituente e
i propositi di allora scaturivano dall’aver faticosamente vinto la partita contro il fascismo, dall’averne compreso le radici e dal convincimento che la nuova Costituzione dovesse fare tesoro della lezione impartita dalla storia e rispecchiare costruttivamente quell’insegnamento e quei propositi. Nondimeno – questo di sicuro la storia insegna – è sempre arduo trasmettere l’esperienza vissuta alle generazioni successive (p. 30).
Detto ciò, lo storico sostiene che le forze che avevano assecondato il fascismo, per poi abbandonarlo nella sua fase finale, sono riemerse in altre forme con «abiti ammodernati e con una esteriore patente di onorabilità, facente perno (tra l’altro) sull’“atlantismo” e sulle sue varie declinazioni» (p. 30).
Vi è una questione che contraddistingue lo stato attuale della politica italiana; essa si colloca nel cuore della situazione europea, e riguarda il tramonto delle ideologie, nonché l’invito che Bernhard Scholz, il 17 agosto durante il meeting di Rimini, ha rivolto ai partiti: abbandonare definitivamente ogni ideologia. Il termine ‘ideologia’, nella maggior parte dei casi, viene adoperato secondo un’accezione totalmente negativa, in modo denigratorio e senza conoscerne la valenza storico-culturale. Difatti, «grazie al frequente ricorso di codesta esortazione, si è infatti ormai compreso che per “ideologie” suole intendersi il patrimonio di idee e di riferimenti culturali che ciascuna forza politica dovrebbe avere come propria ragion d’essere» (p. 27). Il risultato di un simile processo è quello di alimentare la coesione che ha come suo fine il tramonto dei partiti in vista del partito unico articolato, sulla scorta del modello Università-Dipartimenti.
Ma passiamo al 2021. Come è spiegabile il cambio di governo che ha visto Draghi assumere la presidenza del Consiglio dei Ministri? È un caso molto curioso se si pensa che il Presidente della Repubblica
nell’allocuzione a reti unificate del febbraio 2021, giustificò l’investitura di Draghi con l’argomento della impossibilità, per gli italiani, di andare a votare: in controtendenza rispetto a quanto stava accadendo o era appena accaduto in USA, Portogallo, Spagna, Israele ecc. Si temeva che il voto portasse al governo i partiti malvisti «a Bruxelles» (p. 42).
In realtà, la vera causa del cambio di governo avvenuto nel 2021 è rinvenibile nel cosiddetto Recovery Plan italiano, che dopo la presentazione è stato immediatamente approvato a Bruxelles. L’iter molto articolato per arrivare alla sua approvazione – prevedeva l’autorizzazione dei parlamenti dei 27 paesi che compongono l’UE su ciascun Recovery Plan nazionale – non è stato necessario.
Il governo del presidente fu approvato da quasi tutti i partiti nella forma di un Diktat da parte dell’Europa, che Canfora formula nel seguente modo: «Se quei quattrini li volete effettivamente, […] dovete mettere a capo del governo uno dei ‘nostri, uno di cui ci fidiamo» (p. 42). Nei fatti, si tratta di un presidente che governa attraverso un mandato non elettorale e che, pertanto, risulta essere slegato da ogni sorta di vincolo che invece un’elezione democratica, per sua natura, impone. Se vi sarà una contropartita in termini di disciplina richiesta per la grande elargizione prevista, il governo del presidente saprà attuare tale disciplina nel modo migliore.
La problematicità della situazione attuale richiede, nell’immediato, un ripensamento delle forme democratiche: molteplici interrogativi s’impongono, e la capacità di poter far fronte alla tensione politica che squadernano le domande poste da Canfora costituisce la sfida del presente in cui è in gioco la democrazia dei fatti, non quella di una sterile retorica che nella realtà fattuale di democratico risulta avere ben poco.
Avere il coraggio di porre la domanda, al termine dell’emergenza epidemica, sul cosiddetto ritorno ad pristinum conduce alla consapevolezza che il mutamento dell’assetto politico, economico, finanziario e sociale degli ultimi due anni sia destinato a restare. In effetti, è difficile pensare a un ritorno dello stato di cose secondo le forme della precedente situazione: «il nostro paese sta forse ricevendo un trattamento di favore in cambio della promozione di Draghi a premier? Le famigerate regole europee scricchiolano o saranno rispolverate e torneranno a funzionare una volta finita la crisi sanitaria? E peserà l’incognita degli orientamenti, in materia di austerità europea, del titolare delle Finanze nel nuovo governo tedesco?» (p. 49). Il paragrafo dove Canfora traccia le linee di questo discorso s’intitola Rifondazione, e a tal riguardo si leggono parole durissime contro la presenza Usa in Afghanistan, definita un’avventura demenziale che ha coinvolto anche il nostro Paese.
Nella sua analisi del presente, Canfora ha evidenziato «soprattutto gli aspetti di decadimento politico e impoverimento culturale: scadimento che ha investito sia la capacità di analisi che la prassi. Sappiamo però che, al di là dell’inadeguatezza soggettiva, ci sono cause più profonde di cui è necessario tener conto. È infatti la compagine sociale che è venuta trasformandosi» (pp. 60-61).
Anche la cosiddetta ex-sinistra ha alimentato e si è prestata volentieri a queste trasformazioni strutturali (mutazioni che hanno messo in crisi le certezze che stavano a fondamento del suo operato politico), cedendo il passo a quella che nei fatti è la strategia del governismo, con lo scopo di ritagliarsi uno spazio sicuro di inclusività all’interno del parlamento. L’inclusività a tutti i costi diventa il mezzo di sopravvivenza politica, la sopravvivenza politica diventa il fine (non è più solo il mezzo). In questo problematico scenario è ancora opportuno e corrispondente al principio di realtà parlare di democrazia? Non si sono forse realizzate le premesse per l’esistenza/permanenza di un partito unico articolato? Ancora: seguendo sempre il pensiero di Gramsci, la situazione attuale non rispecchia il cosiddetto parlamentarismo nero? «È quello che osserviamo al tempo nostro: epoca nella quale il sintomo più vistoso ed eloquente dell’abbandono di ogni ancoraggio di classe da parte della ex sinistra è la sostituzione, che essa ha compiuto, di un concetto geografico (“europeismo”) a quello politico e di schieramento» (p. 60).
Comprendere il proprio tempo nel pensiero significa compiere il non semplice tentativo di dare uno sguardo ampio agli enti, eventi e processi anche nella loro dimensione sociale, nella loro realtà politica poiché politica è l’essenza dell’uomo, come si apprende a partire da Aristotele. I pensieri di Canfora, esposti nel libro in questione, costituiscono proprio questo tentativo rigoroso che, attraverso la precisione dei dati forniti e degli eventi storici ai quali si fa riferimento, vuole restituire un quadro chiaro, preciso, dell’attuale situazione politico-parlamentare del Paese e di questo inserito nella cornice internazionale; nonché dare al lettore alcuni strumenti utili per strutturare un proprio pensiero sul presente.
Canfora ci parla di una crisi, di un mutamento di paradigma politico-parlamentare in atto. Non prendere in seria considerazione le sue analisi, quantunque possano essere diverse le conclusioni che ciascun lettore può trarre dalla lettura del libro, vuol dire ignorare un problema serio, evidente ed esiziale: il pericolo che la democrazia, la nostra democrazia, sia divenuta la democrazia dei signori.