di Paola Giordano
Siamo un po’ in ritardo, lo ammetto: solitamente pubblichiamo il secondo numero dell’anno nella seconda metà di novembre. Il nostro, però, è un ritardo “giustificato”: quello che vi apprestate a leggere è forse il numero più ricco de Il Pequod. Non solo quantitativamente ma, soprattutto, qualitativamente.
Tra qualche riga troverete una sintesi – certamente non esaustiva – di questi contenuti. Prima di entrare nel cuore di questo sesto numero, però, voglio condivedere con voi una breve riflessione. Non temete, non mi dilungherò molto.
Ho avuto l’onore di partecipare al tradizionale Colloquium sciasciano – una due giorni dedicata da ormai tredici edizioni ad approfondire una tematica ogni anno diversa, legata a Leonardo Sciascia – che si è tenuto il 22 e il 23 settembre scorsi nella Grande Mela, al 686 di Park Avenue, sede dell’Istituto Italiano di Cultura di New Work. Non credo sia più un mistero che Sciascia sia il mio scrittore preferito. Ho letto tutti i suoi romanzi, molti dei suoi saggi, persino la sua prima e unica raccolta di poesie, che vide la luce nel lontano 1952, presso l’editore Bardi, in un’edizione di pregio di 111 copie numerate accompagnate dai disegni dello scultore catanese Emilio Greco.
Di lui ho ammirato sin da subito, in particolare, il fatto che non abbia mai rinunciato alla storia, ai fatti veri e alla possibilità di intervenire su di essi. Ad aver alimentato la mia passione per questo scrittore è stata però un’altra sua peculiarità, molto più legata al mondo letterario: il rapporto che lega Sciascia ai suoi testi e, di conseguenza, a chi quei testi li legge. In ogni suo romanzo, infatti, egli mostra di avere grande considerazione del suo lettore rendendolo complice di quel processo di riscrittura consapevole che contraddistinse la sua attività letteraria, compiuta attraverso un sistema di richiami intertestuali e ritenuta il nodo caratterizzante della sua poetica. È proprio tale prassi intertestuale a rassicurare il lettore in quanto costruita sulla soddisfazione di riconoscere il già-detto, assicurando anche un effetto ludico; e d’altra parte ad attirare chi legge in una competizione culturale e intellettuale che induce a non distrarre l’attenzione dal romanzo: solo riuscendo a svelare i messaggi criptati delle citazioni, delle allusioni, dei richiami, degli “espropri”, il lettore è in grado di ricostruire la narrazione.
Spero che i contributi che abbiamo pubblicato finora su Il Pequod abbiano innescato in voi la curiosità di continuare a leggerci perché cerchiamo nel nostro piccolo, specie nei casi in cui scriviamo di cose che vi sono poco conosciute, di farvi trovare sempre un rimando, un richiamo, una citazione che possiate trovare familiare.
Come promesso, ecco il breve riassunto dei contributi che troverete in questo numero.
Nella sezione Dalle parti degli infedeli, ospitiamo le riflessioni di Giovanni Altadonna sul Taobuk edizione 2022 di Taormina, in particolare sull’incontro con Telmo Pievani, a cui si aggiungono le considerazioni filosofiche sul contemporaneo e sulla pandemia appena trascorsa di Marcosebastiano Patané.
Nella ricca Scritture ritrovate ancora Altadonna ci parla di una dialettica filosofica proposta a partire dai testi di Carlo Sini. Francesca Bertino si sofferma con alcune considerazioni in ordine alla filosofia politica sul fenomeno della guerra civile. Alberto Giovanni Biuso si concentra invece sugli insegnamenti ancora validi della Scuola di Francoforte, utili a districarsi nella massificazione contemporanea. Un afflato particolare ha il testo di Nicoletta Celeste, su una delle voci più intime e intense del Novecento, quella di Etty Hillesum. Enrico Palma propone un’applicazione filosofica ed ermeneutica della poesia di Emily Dickinson sul senso dell’alterità all’indomani della pandemia. Al mare come concetto politico ed esistenziale pensa Stefano Piazzese, che incrocia un famoso testo di Carl Schmitt. Mattia Spanò sosta sull’empatia, concetto quanto mai pregnante e ormai diffuso nel dibattito etico contemporaneo. Etica a cui Federico Tinnirello si accosta dal punto di vista di uno dei maggiori pensatori del secolo scorso, Ludwig Wittgenstein.
In Chartarium, che accoglie esercizi critici ed ermeneutici sulla letteratura contemporanea, segnaliamo i contributi rispettivamente di Pietro Cagni su Nerotonia, recente opera di Rossella Pretto, di Mauro Distefano, che ci fa scoprire la voce poetica di Piera Oppezzo, di Enrico Palma, sull’ultimo libro di Alessandro Piperno Proust senza tempo dedicato allo scrittore francese nel centenario dalla sua morte, e infine di Antonio Sichera, che partendo da un brano del Mattia Pascal di Pirandello traccia alcune considerazioni sull’insegnamento della cultura biblica da mantenere viva.
Nella sezione Wunderkammer, Luca Dilillo ci intrattiene con un’atipica e coinvolgente recensione a Il Sogno, mentre Roberto Rossi ci regala una selezione di poesie edite e inedite dalla raccolta I Nomadi dello spirito.
Come d’abitudine, La finestra sul faro raccoglie interessanti recensioni a romanzi, opere filosofiche e saggistiche, e spettacoli teatrali.
Insomma, i contenuti di questo numero sono tanti e tutti di altissimo livello. Non mi resta quindi che augurarvi una buona lettura.