Recensione a:
Biagio De Giovanni, Figure di apocalisse. La potenza del negativo nella storia d’Europa, il Mulino, Bologna 2022, «Intersezioni», Pagine 272, € 16,00
di Stefano Piazzese
L’affermazione fondamentale che si legge nelle prime pagine del saggio di De Giovanni chiarisce immediatamente da quale prospettiva verrà sviluppato l’argomento principale: «L’Europa è la sua filosofia» (p. 12). Da qui una serrata speleologia della situazione europea e di quel qualcosa di profondo che determina l’identità di Europa. Quale grande principio sta alla sua origine? Cosa fa dell’Europa il continente in movimento, la civiltà-mondo che ha conosciuto un’espansione planetaria e sulla quale pesa tutto il dramma del proprio incontro con le altre civiltà? Un dramma che ha determinato la storia del mondo.
L’Europa nasce dalla sua filosofia. La sua storia, pertanto, è «lotta tra le filosofie, è da lì che bisogna muovere per sbrogliare il groviglio» (Ibidem) della sua situazione attuale. De Giovanni ci restituisce il polso della situazione europea nel periodo storico in cui parlare di “radici europee” è diventato molto problematico su più fronti. Se da una parte i sommovimenti della cosiddetta Cancel culture e il politically correct impongono con tutta la loro violenza un discorso che pretende di censurare molti concetti, come se questo modo di pensare e agire fosse l’antidoto giusto per accogliere autenticamente le differenze, il pensiero dell’autore affronta con il coraggio fondato sul rigore argomentativo la questione posta senza aver paura di fare ricorso a concetti che oggi vengono interpretati come minacce da cancellare.
Per comprendere Europa bisogna rispondere alla domanda: cos’è filosofia?
«La filosofia, come pensiero del Tutto, è all’origine del suo movimento. Essa si dispiega nei molti paradigmi della sua vita, anche quando è irriconoscibile come «filosofia» nel senso disciplinare di questa parola, in un rapporto tra luce e ombra, tra affermazione e negazione, e tutto nasce dalla tensione tra termini opposti, dalla ricerca della Mediazione o dall’irrigidimento del loro reciproco escludersi. La figura del Negativo sta, perciò, dentro la figura di Europa, carica di antitesi; l’invenzione della filosofia, il sapere che nasce in Europa, si carica del suo destino» (Ibidem).
Risulta fondamentale quanto afferma l’autore all’inizio della nota bibliografica (p. 257). Si tratta di un saggio che ha come proprio nucleo teoretico tre opere hegeliane: la Fenomenologia dello spirito, la Scienza della logica e i Lineamenti di filosofia del diritto. Nella Prefazione alla Fenomenologia Hegel afferma che il Negativo è la tensione vitale necessaria che fa incontrare e scontrare l’accidentale e il concetto, il finito e l’eterno. Questa tensione costituisce un punto di riferimento imprescindibile per cogliere l’identità originaria di Europa nella sua fase aurorale: il rapporto tra Molteplice e Uno che si dirama a partire dalla filosofia greca testimonia ciò. Hegel «immette la potenza della dialettica nella costituzione del mondo, fa entrare in campo l’esistenza singola, centro di determinazione e di alienazione. L’accidentale ut sic, scoperto nella sua autonomia-dipendenza, vive la sua libertà» (p. 17).
La vita umana è vita che vuole organizzarsi attraverso forme, istituzioni, dove vivere è sempre trovarsi con altri. Ecco perché la tesi di De Giovanni porta alle estreme conseguenze quanto detto prima: «il principio costituente della filosofia si realizza nella politica» (p. 18). Quanto ha realizzato l’uomo europeo, infatti, è sorto dalla sua azione tragica, dal suo anelito alla Forma scandito dal legame inscindibile di mito e condizione umana: una tensione verso la stabilizzazione che egli ha ereditato dai Greci attraverso la tragedia e la filosofia.
E proprio su questo nesso ancestrale, tragedia-filosofia, si vuole concentrare questa riflessione sul saggio in questione – il percorso tracciato dall’autore è filosoficamente vasto -, che prende le mosse dalla tensione tra oggettivazione e lacerazione volta a scoprire la sostanzialità dell’accidentale, e «la Vita è anche opposizione a questa modalità della sua salvezza, che essa può sentire come gabbia d’acciaio» (p. 19): qui ciò che dà unità alla parola “Occidente”. Questo passaggio risulta fondamentale per comprendere la tesi principale dell’argomento, poiché il Negativo entra proprio a partire dalla tensione tra la Vita e la Forma, che a sua volta manifesta l’ambigua potenza del finito avente in sé una dimensione tragica:
«è il finito che vuole salvarsi dalla contingenza; sta dentro al momento in cui «l’accidentale ut sic», ovvero la finitezza umana, che si è scoperta nella relazione con l’Altro – con la verità, il concetto, il sapere del suo destino – si è talmente internato in questa complicata «alterità» da giungere alla piena coscienza di questa relazione contrastata, da farla propria; sottraendo il finito alla morte, ma continuamente tentato dalla potenza della propria immediatezza, della propria pura vitalità, della immediata volontà di vita che vive la Forma come gabbia d’acciaio da cui liberarsi» (p. 21).
In questo movimento risiede quella che De Giovanni chiama La potenza del tragico nella storia d’Europa (titolo del primo capitolo), ovvero il tentativo messo in atto dalla finitezza (la ragione) di salvarsi dalla contingenza; salvezza che consiste nell’acquisita capacità del finito di non inorridire davanti alla distruzione, davanti alla morte, ma di accoglierla, sopportarla, grazie alla forza della vita dello Spirito. Nella tensione tra esperienza e conoscenza, dunque, l’Europa, «si costruisce si coglie, così, nel suo movimento, che apre alla soppressione creativa dell’identità astratta e al suo divenire altro da sé, alla negazione determinata in quanto Forma del finito» (p. 23).
La presente riflessione vuole rimanere entro i confini del primo capitolo, e dunque affrontare la questione del tragico nella storia d’Europa. Il fermento del Negativo, la sua vita, rinvenibile nei vari paradigmi di matrice teologica, filosofica, politica, giuridica e artistica nelle loro connessioni, linguaggi, incontri e scontri sono determinati dall’«Uno che, per essere, si avvolge nel Molteplice, e il Molteplice che risponde a questa realtà avvolgente, lo contiene dentro di sé, percorre poi le vie della sua potenza e del suo divenire, dell’esistenza e del sapere» (p. 25).
Tutto proviene e viene edificato a partire dal ceppo del Negativo dove scissione e unità sono sempre sottoposte alla potenza-impotenza della Forma, e alla potenza dell’Uno che determina la Forma nella misura in cui la seconda accoglie o respinge l’azione demiurgica del primo. Arrivare al Negativo, all’accidentale ut sic, a partire dalle Idee di Platone per approdare a Hegel è un percorso storico colmo di travaglio, e De Giovani naviga in queste insidiose acque poiché «il Negativo è dentro questa verità o la combatte, Vita immediata e Forma mediata, non sono due modi separati, ma variamente intrecciati nella loro diversità» (Ibidem). Diversità che sono colte non soltanto dallo specialismo dei filosofi, ma pure dai poeti, dagli artisti che hanno individuato i nessi tragici posti all’origine di Europa-mondo. A questo punto il linguaggio abbraccia la diversità, la crea, la assume collocandola all’interno dei propri confini, delle proprie possibilità: senza il linguaggio, dunque, non potrebbe darsi differenza alcuna. Ecco che ha luogo la potenza negativa del negativo che si manifesta come frattura tra potenza e sapere, «il campo è invaso dalla volontà di potenza del negativo come immediata determinazione che rompe il rapporto con la Mediazione» (p. 27).
Cosa agita l’adesso di Europa?
«L’Europa vive questa alternativa non come uno schema intellettualistico, aut-aut, ma come la sua nervatura d’origine, che ha il suo atto di nascita nella dialettica Uno-Molteplice, a conclusione della quale si staglia il genio di Hegel, che si raccoglie nel decisivo pensiero formulato nel Frammento di Francoforte: il mondo, il pensiero che lo costruisce, è «Unione dell’unione della non-unione». Il «non» qui è tutto dentro la «figura» di Europa in formazione, il suo elemento inquietante. Con esso si apre il diluvio, fino all’Apocalisse del Novecento» (Ibidem).
Per comprendere appieno l’unità della “Ragione cosmica” derivante dai contrari bisogna andare alle Enneadi di Plotino, ovvero uno dei momenti fondamentali della filosofia europea, dove la costruzione del mondo accoglie l’abisso da cui esso sorge e che gli sta innanzi. Tale intuizione, formulata molto tempo prima di Hegel, costituisce una delle corrispondenze che stanno a fondamento della storia europea in quanto indica il movimento da cui in Europa tutto ha origine.
Da questo movimento nasce anche il concetto di libertà, «parola con la quale si è spesso definita la relazione tra Uno e Molteplice come tessuto dell’identità europea, sollevandolo dalla sua problematicità irrisolta» (p. 29). Bisogna considerare l’idea di libertà indissolubilmente connessa a quella di movimento in termini di tensione verso una meta da raggiungere. Il concetto di libertà ha permesso di ‘vedere’ nell’Europa la ‘civiltà’.
Tuttavia, la problematicità del concetto in questione è testimoniata dalla sua polisemia: libertà, detta in molti modi, e considerata un continuum che percorre tutta la storia del pensiero europeo nelle sue varie declinazioni filosofiche, conduce verso scenari “sospesi” se interpretata «come “la” risposta che salva; rischia di complicare i problemi, se la si immagina come parola conclusiva e pacificata di una identità che può essere solo “tradita” da qualcosa di incontrollabile che la assedia» (p. 30). Si tratta della parola più complessa, più difficile da definire, poiché una volta definita sorge immediatamente il pensiero che la mette in crisi, che la fa vacillare.
La potenza del tragico nella storia d’Europa è segnata dalla domanda urgente: donde la libertà umana? E in quale rapporto sta con la Necessità? Croce (Storia della libertà) e Goethe (concetto di demoniaco) hanno cercato di rispondere a tale quesito. E l’autore, ripercorrendo questi sentieri battuti, afferma che «la libertà si muove spesso tra il demoniaco e il destino» (pp. 30-31).
Lo sguardo filosofico rivolto allo spirito tragico di Europa permette di cogliere anche gli aspetti più profondi della condizione umana, dei molti modi in cui essa esprime il proprio dramma caratterizzato da una complessità che nessun linguaggio logico o matematizzante potrà mai ridurre al confinamento entro i propri sistemi;
«È la vita del Geist, “che sopporta la morte e in essa si mantiene”. Il rapporto tra Uno e Molteplice è creazione è creazione, perciò potenza e devastazione mescolate nel senso tragico. Esso possiede in sé stesso queste due “potenzialità”, termine che comprende molto di più di qualcosa che si chiama “possibilità”, che è parola debole, neutrale, mentre la realtà duplice contiene in sé le parole “forza”, “energia”, non intende in nessun modo restare nell’incertezza del possibile, come l’Asino di Buridano fermo davanti a due opzioni» (p. 31).
De Giovani vede nel tragico, nei termini sin qui delineati, l’elemento fondativo di Europa, il suo movimento donatore di morte e vita, la sua spinta costruttrice e distruttrice, trionfo e devastazione; elemento che certamente rafforza il sentiero ermeneutico più sensato per giungere teoreticamente a comprendere che solo in forza della potenza del Negativo è possibile rispondere alla domanda ancestrale sul rapporto tra libertà e necessità.
Quando il Molteplice irrompe nell’Uno si ha libertà e distruzione dell’umano; civiltà può, nel suo continuo mutare, diventare anche il mostruoso contesto di un massacro. Ciò è determinato dalla Forma – concetto, quest’ultimo, carico di metafisica e a fondamento di Europa – entro cui le tensioni divengono Vita o vengono rigettate. Qui risulta imprescindibile il riferimento a Lukács (p. 31) che, in L’anima e le forme (Die Seele und die Formen, 1910), ha intrapreso un’attenta analisi di alcune forme letterarie dalle quali emerge la possibilità di una profonda comprensione del prismatico agire umano e dei vari modi in cui gli uomini edificano la propria esistenza.
Nell’opera lukácsiana si cerca di penetrare nel profondo delle forme letterarie in autori come Novalis, Theodor Storme, Rudol Kassner, Søren Kierkegaard, Stefan George, Charles-Louis Philippe, Lawrence Sterne, Richard Beer-Hoffman e Paul Ernst. De Giovanni è d’accordo con il filosofo ungherese: «La forma è l’unica via per raggiungere l’assoluto nella vita» (Ibidem). Fondamentale, a tal riguardo, è il saggio finale dell’opera del filosofo ungherese, Metafisica della tragedia: Paul Ernst. L’esistenza è definita «un’anarchia del chiaroscuro», niente arriva a realizzarsi pienamente in essa, non esiste e non è previsto compimento alcuno; sorgono, del continuo, nuovi eventi che creano confusione nell’attrito con quelli che già sono in atto (cfr. G. Lukács, L’anima e le forme (Die Seele und die Formen, 1910), trad. di S. Bologna, SE, Milano 1910, p. 232).
Pertanto,
«la potenza del negativo non sta da un lato del problema, ma da ambedue; è, insieme, creazione e devastazione, ed è trattenuta da questa dualità. È, insomma, tensione e conciliazione, senza questo intreccio una civiltà non potrebbe diventare creativa e cercare la stabilità nel groviglio della propria infondatezza. Quando la Mediazione si rompe in modo ultimativo, giunge l’apocalisse. Ma perché si rompe, perché giunge a quell’estremo? Questa inevitabile domanda assilla il nostro tentativo di raccontare lo spirito di una civiltà» (p. 31).
Il tentativo di De Giovanni permette di cogliere alcuni aspetti centrali della crisi profonda che agita l’adesso di Europa.