Recensione a:
Carmelo Vecchio, Genesi Fotografica del “Mastro-don Gesualdo” di Giovanni Verga, Autoprodotto, 2022, Pagine 200
di Paola Giordano
Scrivere di un “mostro sacro” della letteratura italiana – e non solo – come Giovanni Verga è difficile: la sua vita, ogni sua opera è stata analizzata, studiata e ancora rianalizzata, ristudiata. Non è impossibile, però, perché non si smette mai di imparare: basta trovare la giusta chiave di lettura. Quella che ha trovato Carmelo Vecchio nella sua Genesi Fotografica del “Mastro-don Gesualdo” di Giovanni Verga è legata alla fotografia: è attraverso le foto che l’autore illustra gli eventi narrativi più significativi del celebre romanzo verghiano Mastro-don Gesualdo (1889), cercando di stabilire una correlazione tra parole e luoghi, frasi e immagini.
In tale ricostruzione “foto-narrativa”, Vecchio pesca dal suo archivio fotografico gli scatti realizzati nel corso degli anni, alternando il colore, il seppia e il bianco e nero secondo un criterio del tutto personale: il flusso emotivo che la narrazione verghiana gli suscita di volta in volta o, per meglio dire, pagina dopo pagina. Del resto – ed è lo stesso Vecchio a spiegarlo nella premessa al suo lavoro – «quando leggiamo una storia, la mente elabora immagini. Essa cerca di ‘visualizzare’ luoghi, fatti, persone secondo il tessuto esperienziale ed il flusso di coscienza di ognuno» (p. 8). Se da un lato, con la sua “foto-narrazione”, Vecchio pare semplificare il compito del lettore, esimendolo dallo sforzo della elaborazione mentale dei luoghi, dei fatti, delle persone, dall’altro pone quello stesso lettore, a cui ha “spianato” la strada, di fronte ad un confronto obbligato con quel flusso di coscienza che l’opera del Verga gli ha stimolato.
«Il libro – prosegue Vecchio nella premessa – mostra foto che rispecchiano fedelmente le indicazioni toponomastiche, altre che ‘potrebbero’ esserlo e altre ancora che non lo sono affatto, frutto della mia immaginazione, ma che ben si inseriscono, a mio giudizio, nell’atmosfera verghiana del racconto» (p. 13). La trama del Mastro è nota a tutti ma attraverso gli scatti di Vecchio, specie quelli in bianco e nero, viene raffigurata catapultando il lettore nelle strade percorse da Gesualdo. È forse questo il merito dell’autore: proiettare chi legge la sua Genesi e persino chi si limita a sfogliarla nella vita del Mastro, in quel mondo dei Vinti che oggi appare più che mai attuale.
«Ho pensato che i lettori potrebbero essere non solo vizzinesi, curiosi o interessati a vedere fotograficamente gli scenari del paese descritti nel racconto, ma anche forestieri che non conoscono il paese e che apprezzeranno, spero, le informazioni turistiche e artistico-culturali che ho inserito a commento delle foto, tratte da fonti indicate nella bibliografia» (ibidem).
Questa “foto-rilettura” del Mastro non è infatti limitata a chi quei luoghi immortalati negli scatti di Vecchio li ha vissuti o li vive tuttora:
«Molte mie foto, nel corso degli anni, sono state pubblicate nei social. Spesso, fra i commenti ho percepito la meraviglia di molti vizzinesi, in particolare emigrati in Italia e all’estero, che si chiedevano dove si trovasse un certo luogo fotografato, salvo poi scoprire che quel luogo, quel palazzo, quella via sono sempre stati sotto gli occhi di tutti, nascosti solo dalla fretta della quotidianità e dall’abitudine, poiché spesso si è attenuata la percezione di vedere le “cose”» (ibidem).
Il lavoro di Vecchio è destinato – anche e forse soprattutto – a chi non ha mai visitato Vizzini. O a chi, pur avendolo vissuto o visto anche solo una volta, grazie a quest’opera può guardarlo con occhi “nuovi”.