Corpo e scrittura in “The Whale”

di Enrico Palma

 

The Whale

di Darren Aronofsky

Usa, 2022

Con: Brendan Fraser (Charlie), Sadie Sank (Ellie), Ty Simpkins (Thomas), Hong Chau (Liz)

 

Una balena. Tuttavia una balena doppia, almeno. Quella spiaggiata sul divano tra i suoi sudori, il grasso, l’orgia di cibo, le piaghe; e quella narrata in un tema scolastico di cui non sappiamo l’autore ma che nei momenti di crisi riesce a darle sollievo. Charlie è un uomo obeso, che vive tra le mura del suo appartamento tenendo corsi universitari online di scrittura a studenti non molto interessati, senza mai comparire nella telecamera per l’ovvia paura dell’effetto che potrebbe fare a causa del suo aspetto. Durante il film si vengono a conoscere i motivi del suo stato. Ha lasciato la sua famiglia per andare a vivere con Alan, uno studente conosciuto in uno dei suoi corsi e di cui si era innamorato perdutamente. Alan è un seguace della setta religiosa New Life, ma la diversità di vedute con il padre, che ne era la guida, e un rapporto conflittuale con la fede innescato dalla sua omosessualità lo inducono a una grave depressione, a smettere di mangiare e infine a gettarsi in un fiume.

La sorella adottiva di Alan, Liz, è la donna che si prende cura di Charlie, ma, nonostante la buona Samaritana che lo accudisce e che gli consente per affetto di farsi del male ingurgitando comunque cibo, rifiuta ogni tipo di cure ospedaliere, decretando inesorabilmente la sua morte. Charlie ha sviluppato il disturbo opposto a quello di Alan, una compulsione per il cibo che può essere letta in molti modi, tra cui c’è certamente una sbagliata metabolizzazione del dolore e il tentativo di riempire un vuoto ovviamente incolmabile.

Eppure, il vero tema è un altro. Questo film fa emergere in modo chiarissimo una potenza data in dono all’umano e che viene declinato in maniera plurale: la scrittura. È nella Bibbia, nella forma di quella fede, intesa più come una grande menzogna per la vita degli umani che come una reale possibilità di salvezza, per la quale Alan è morto e di cui Thomas, il falso seguace della New Life, cerca di convincere inutilmente Charlie; è l’argomento dei corsi di Charlie, come scrivere in modo convincente, strutturato e persuasivo, ma che non sortisce i risultati sperati poiché i suoi studenti si mostrano ben lontani dal concetto di onestà e autenticità che negli ultimi istanti vorrebbe loro trasmettere; è la parola che lo calma, che lenisce i suoi attacchi cardiaci, l’ascolto del tema scritto dalla figlia su Moby Dick, e che prima della fine, nei suoi ultimi istanti, sarà lei stessa a leggergli.

La scrittura è l’ultimo residuo di vita che a un uomo martoriato nel corpo come Charlie è ancora concesso. Quando il corpo cede, la materia è avvilita e lo spirito indebolito, la parola può ancora salvare. La possibilità della salvezza è infatti uno dei temi centrali del film: non ci si può salvare a vicenda, benché Charlie, apprendendo cosa aveva fatto la figlia per Thomas, creda il contrario, che Ellie avesse voluto intenzionalmente aiutare il ragazzo che si era smarrito. In realtà, la salvezza è data dalla scrittura, al punto che nel finale, quando la figlia sull’uscio della porta di casa sta leggendo su preghiera del padre il suo tema su Melville ad alta voce, Charlie, contrariamente a quanto lui stesso aveva tentato pochi giorni prima rovinando sul divano, ha la forza di alzarsi in piedi privo di sostegni, di camminare fino a lei. Lì, in quell’istante, il potere della scrittura è massimo. Viene colto da un barbaglio di luce che addirittura, nonostante la sua enorme mole, lo fa levitare, gli fa acquistare un’insperata leggerezza. Subito dopo l’elevazione, come un martire finalmente liberato dal suo male, sciolto dai ceppi e ricondotto al sacro, la scena si sposta al ricordo intriso di chiarità di quella giornata sulla spiaggia insieme alla sua famiglia. Charlie è diventato luce.

Il film è una Settimana Santa che in modo coerente si conclude al Venerdì della Passione, una sottile storia cristologica sulla salvezza tramite la parola non di Dio, naturalmente, ma della scrittura umana, della parola affettiva a cui ci si lega e che diviene fondamento delle relazioni umane, nel caso di Charlie ed Ellie tra un padre e una figlia, e certamente mediata da Melville, da quella tristezza che con la sua storia lo scrittore ci vuole risparmiare «almeno per un po’», in un’idea di letteratura che è in grado di offrire quella parentesi di felicità e di sollievo dalla generale tristezza dell’esistenza e del mondo.

Il passo paolino, che Alan aveva evidenziato con decisione nella sua Bibbia e che Thomas legge a Charlie, può essere interpretato diversamente alla luce di tutta l’esperienza del protagonista: «Così dunque fratelli, noi siamo debitori, ma non verso la carne per vivere secondo la carne; poiché se vivete secondo la carne, voi morirete; se invece con l’aiuto dello Spirito voi fate morire le opere del corpo, vivrete» (Rm 8, 12-3). Charlie aveva vissuto secondo la carne, al punto da distruggere completamente il suo corpo, ma aveva vissuto anche secondo lo spirito, quella luce a cui in conclusione lo consegna la parola, la scrittura.

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