Oltre il binarismo di genere: ermafroditi, invertiti e il fenomeno delle berdaches

di Roberto Spanò

 

  1. Introduzione

 

L’analisi storica dei comportamenti sessuali di un determinato gruppo sociale è un’operazione affascinante quanto rischiosa, dal momento che l’istinto potrebbe condurre immediatamente a proiettare le nostre categorie (come la dicotomia eterosessuale/omosessuale) su degli individui per i quali queste definizioni spesso erano totalmente sconosciute. Per molto tempo gli studi su sesso e sessualità furono influenzati dai paradigmi della medicina e della psichiatria che Foucault denominò Scientia sexualis: la sessualità era considerata un impulso naturale, disordinato e incontenibile, per questo era essenziale porre delle regole per garantire il “normale” funzionamento dell’individuo e dell’intero corpo sociale.

A un certo punto, studiosi di vari ambiti iniziarono a capire che il problema di ogni interpretazione essenzialista risiedeva nell’esclusione dei fattori storici e sociali determinanti della sessualità[1], come l’azione politica, la religione, l’educazione ricevuta e la divisione sessuale del lavoro. Dall’altra parte troviamo i costruzionisti, secondo cui sessualità e genere non sono pre-esistenti alla società e dati una volta per sempre, ma sono frutto di un lavoro continuo di condizionamento attraverso varie pratiche sociali (quello che Mario Mieli, in Elementi di critica omosessuale, definì “processo di educastrazione”). C’è un però: se la tesi costruzionista, da una parte, ha contribuito alla separazione tra natura e cultura, visti come elementi contrapposti e inconciliabili, dall’altra parte, se consideriamo la società come l’unica cosa capace di conferire un significato alla sessualità, questo non farebbe altro che rendere la sessualità stessa una sorta di finzione.

Al netto di ciò, si può tranquillamente affermare che esistono una molteplicità di idee e comportamenti intorno alla sessualità e mentre alcune attività sono condannate in alcune società, possono essere tollerate, se non apertamente favorite, in altre.[2] Ma l’analisi delle vicende di sodomia nelle colonie spagnole e portoghesi permette di osservare la capacità della sessualità di influire sulla formazione della propria identità di genere: dalla documentazione emerge che le pratiche sessuali di coloro che venivano accusati di sodomia non si limitavano ai singoli atti sessuali, ma si trattava quasi sempre di rapporti prolungati nel tempo[3]. Spesso gli accusati dichiaravano di voler rinunciare a ogni ruolo sociale associato alla maschilità, di trascurare la relazione con la moglie e di assumere il ruolo “passivo” nelle relazioni con altri maschi. Avevano attitudine e comportamento femminile, ma nessuno di loro ha mai usato il termine “omosessuale” per definirsi, ed è molto difficile, se non impossibile, accedere alla visione che avevano di loro stessi.

 

  1. L’ambiguità sessuale in Età Moderna

 

Tra il XVI e il XVII secolo, in cui la teoria ippocratico-galenica faceva da padrona, i dotti della società occidentale furono attratti dallo studio dei cosiddetti “ermafroditi”. Secondo la teoria dominante il sesso del nascituro sarebbe stato determinato dall’unione di due semi, quello maschile e quello femminile, e dal successivo posizionamento di questa nuova materia nel seno materno: se si fosse posizionata a destra sarebbe nato un maschio, a sinistra una femmina; in conseguenza di ciò i casi di ambiguità sessuale, o “ermafroditismo”, destavano molto interesse e preoccupazione. In questo contesto i maschi effemminati, le donne mascoline e gli individui che presentavano entrambi gli organi sessuali sconvolgevano tutte le certezze, e non deve sorprendere che la preoccupazione maggiore ruotasse intorno alla consumazione dei delitti di sodomia, di travestitismo e di qualsiasi altra cosa derivasse da questa ambiguità. Con l’intento di prevenire tutto ciò i trattatisti dell’epoca diedero delle indicazioni: considerare maschio l’ermafrodita in cui il sesso maschile sembrava essere prevalente, stessa cosa con una femmina. Come si stabiliva questa predominanza? Secondo alcuni bisognava prendere in considerazione l’organo con cui l’individuo urinava, che sarebbe stato considerato come “il più naturale”[4]. Se l’individuo avesse mostrato una vagina di dimensioni appropriate a poter accogliere il membro maschile allora si sarebbe considerata una donna, se invece avesse presentato un pene ben proporzionato per lunghezza, spessore ed erezione, allora si sarebbe considerato un uomo. Questa assegnazione di genere, basata su un elemento biologico, determina una sorta di relazione mimetica tra sesso, genere e identità. Ma potevano esserci casi di individui con entrambi gli organi in eguale proporzione? Si, in quel caso si sarebbe data all’individuo la possibilità di esprimersi, ma solo a patto che avesse avuto intenzione di contrarre matrimonio e in seguito si sarebbe dovuto impegnare, davanti al vescovo e al giudice ecclesiastico, a non utilizzare l’organo a cui aveva rinunciato; alla fine, la sua scelta sarebbe culminata con una cerimonia di elezione[5].

Paolo Zacchia (1584-1659), considerato uno dei padri della medicina legale, enfatizzò molto l’importanza della presenza dei periti medici nello stabilire lo status giuridico della persona che presentava ambo gli organi genitali; egli riteneva che solo i medici avrebbero potuto decidere per il soggetto interessato, a differenza di chi sosteneva una maggiore autodeterminazione dell’individuo[6]. Ma per altri trattatisti si trattava solo di favole e illusioni: le donne potevano trasformarsi in uomini grazie all’incremento considerevole di calore, o per uno sforzo estremo o, in alcuni casi, persino in virtù del desiderio e dell’immaginazione. Tutto ciò valeva anche per gli uomini.

Tutto questo discorso inerente all’ “ermafroditismo” è utile per capire come gli stereotipi associati al genere e al sesso prestabiliscono il “vero sesso” prima ancora della scelta finale[7]: l’attività dell’autorità civile ed ecclesiastica era orientata a incasellare nella tassonomia maschile/femminile gli individui difficilmente classificabili, occorreva stabilizzare le identità fluide all’interno di due generi che non ammettono eccezioni. Attraverso la storia della medicina e dell’anatomia possiamo osservare un processo di costruzione del genere dove l’esercizio della sessualità gioca un ruolo fondamentale: l’assegnazione dello status di uomo o donna non era un semplice atto giuridico basato su dati empirici, ma serviva a ristabilire l’ordine laddove pratiche sessuali, inconciliabili col “vero sesso”, destavano timore.

Un’opera molto importante è la Disputationes de sancto matrimonii sacramento (1602- 1605), del teologo Tomás Sánchez, in cui l’autore, in riferimento agli «ermafroditi perfetti», sostiene che dovevano essere considerati come maschio e femmina contemporaneamente; l’autore riconosce queste persone come soggetti di diritto in quanto rappresentanti di una terza forma di sessualità. Tra i casi più famosi vi è la storia di Marie le Marcis, ermafrodita di Rounen. Marie era una giovane cameriera che nel 1601 dovette difendersi da un’accusa di sodomia; fece appello al parlamento di Rounen, che avrebbe riconfermato la condanna se il chirurgo Jacques Duval non avesse deciso di procedere a un’ispezione fisica. Dall’ispezione il medico dedusse che la giovane donna presentava un organo maschile all’interno della vagina, così stabilì che fosse un maschio e salvò Marie dalla pena capitale[8].

 

  1. Sodomia nella Nuova Spagna

 

Il Virreinato della Nuova Spagna, primo dei quattro vicereami della Corona spagnola, venne creato nel 1535: il potere venne affidato a un viceré che governava su una regione che si estendeva dalla Florida a tutto il territorio dell’America centrale[9]. La documentazione coloniale raccoglie molte testimonianze di sodomiti o presunti tali ed è interessante notare come, nel momento in cui il protagonista racconta la vicenda, entrano in gioco tutta una serie di elementi narrativi, immaginario comune, pregiudizi, che vengono presi seriamente in considerazione dall’autorità giudiziaria[10].

Nel 1586 un pugno di gesuiti partì per la missione di evangelizzazione dei Chichimechi: affermarono che quel popolo era alla pari di Sodoma e Gomorra ed era opera di Dio averli condotti lì, per rimediare a tutto il male compiuto a causa della mancata conoscenza della dottrina cristiana, del lavoro al modo europeo e della loro naturale malizia. Mostrarono però fiducia nei confronti degli indios, affermando che se avessero avuto modo di ascoltare la parola di Dio avrebbero fatto sicuramente ammenda, lasciandosi i peccati alle spalle[11]. In un Rapporto annuale del 1591, riguardo la missione di Cinaloa, si parla di individui molto docili a cui viene spiegato che è cosa illecita e contro la legge di Dio avere molte mogli; nella stessa zona erano presenti anche dei maschi dediti al peccato nefando, che erano soliti vestirsi da donna e dedicarsi ad attività considerate femminili, come la filatura e la tessitura[12]. Nel “Rapporto annuale dal Messico” del 1593, in riferimento al peccato nefando, si nota molta insistenza in riferimento a uomini che non portano arco e frecce e che sono vestiti «como mujer y hace  los officios que le mejures avían de hacer»[13]. Negli archivi dell’Inquisizione di Lima sono presenti le storie di 99 individui coinvolti in processi di sodomia e anche in questi casi i rapporti erano iscritti in una cornice di dinamiche affettive complesse, come il mangiare insieme dallo stesso piatto scambiandosi baci e abbracci, scenate di gelosia e accuse reciproche di tradimento con donne. Di questi 99 individui il 53% erano definiti sodomiti “passivi”, il restante come “attivi”; solo 8 di loro dichiararono di essere sposati, ma disprezzavano il rapporto con le mogli e alcuni erano famosi come misogini[14].

Il 5 agosto 1604, a Valladolid, l’odierna Morelia, due indios Purépecha, Simpliciano Cuyne e Pedro Quini, vennero colti in flagrante durante un rapporto sessuale all’interno di un temazcal, una sauna cerimoniale precolombiana, nella proprietà di padre Juan Velázquez. I due vennero scoperti dal nipote di Velázquez, che, nel tentativo di recuperare un cavallo scappato dalla stalla, li scoprì. Chiamò così i primi due spagnoli visti per strada, García Maldonado e Juan Hernández; appena i due sodomiti vennero scoperti Cuyne decise di scappare e di recarsi alla chiesa di Sant’Agostino, dalla quale sarebbe stato poi espulso per ordine delle autorità locali e contro il volere del parroco, prima di essere rinchiuso in prigione. Quini fu arrestato e dichiarò che il suo compagno era in stato di ubriachezza[15]. Successivamente Cuyne dichiarò di essere sposato da vent’anni con una donna Purépecha, ma non negò che lui e un altro uomo fossero stati insieme nel temazcal.

Secondo il suo racconto quel giorno era in compagnia di altri indios, quando arrivarono due africani a vendergli vino e pulque (un vino d’agave tipico dell’America centrale). Mentre bevevano si presentò un uomo, Quini, che voleva vendergli un panno di stoffa azzurra, ma Cuyne e i suoi amici volevano andare a dormire: a quel punto Quini suggerì di andare in un temazcal lì vicino, dove successe quanto riportato da Cuyne, che entrò nella sauna, si sdraiò e ricevette le attenzioni di Quini, che iniziò a baciarlo, abbracciarlo per poi infilargli una mano nei pantaloni. Il 18 agosto i due imputati si trovarono a testimoniare insieme: Quini decise di cambiare radicalmente la versione dei fatti, ammettendo non solo di aver commesso consapevolmente il peccato nefando, ma confessando tutti gli altri rapporti che aveva avuto con altri uomini in città[16]. Questa confessione portò al coinvolgimento di circa trenta uomini, che rilasciarono altrettante testimonianze dettagliate. Il 26 agosto 1604 vennero sequestrati tutti i beni di questi trenta presunti sodomiti; il 20 settembre l’ultimo degli accusati venne pubblicamente torturato, mentre altri quattro uomini vennero condotti fuori dalla prigione a cavallo, con mani, piedi e collo legati, mentre un funzionario proclamava pubblicamente la loro colpa. Venne eseguita la pena capitale e una volta deceduti i loro corpi vennero bruciati, per evitare che tornassero a tormentare i vivi. Così l’analisi delle esperienze dei sodomiti nelle colonie ci permette di osservare come la sessualità sia stata capace di influire sulla formazione dell’identità di genere dell’individuo, nel momento in cui mette a nudo la diversità delle forme che può assumere il fenomeno della sodomia, che in nessun modo può essere ridotto a semplice “atto giuridico”[17].

 

  1. Il terzo genere: le berdaches

 

Perchè parlare di un terzo genere? Cosa esiste oltre l’uomo e la donna? Parlare di un terzo genere, presso i popoli indigeni della Nuova Spagna, è un qualcosa che serve a rompere il bipolarismo che ha dominato la scienza e il pensiero occidentale per secoli: con “terzo genere” possiamo indicare tutte le soggettività che stanno al difuori della dicotomia, ma la cui intelligibilità dipende da specificità culturali[18]. Al tempo del contatto con gli europei, nei gruppi sociali dell’America latina esistevano le berdaches, (figure che potevano assumere nomi diversi a seconda dell’area geografica e del popolo di riferimento), individui biologicamente maschi che si identificavano come donne, spesso praticando la passività nei rapporti sessuali. Il termine berdaches è stato coniato solo molto tempo dopo il contatto tra europei e indios, poiché i conquistatori non avevano un modo per poter definire queste persone, anche se in diversi resoconti vengono utilizzati termini come «ermafroditi», «sodomiti» o «effemminati». Solo verso il XIX secolo si è iniziato a indicarli come «omosessuali» o «transessuali»[19].

Secondo Richard Trexler, autore di vari contributi su questo argomento, lo scopo principale di questi individui era quello di performare, davanti a tutta la comunità, la relazione tra forza e maschilità da una parte, subordinazione e femminilità dall’altra: erano dunque dei maschi, tali solo biologicamente, sottomessi ad altri uomini e considerati come donne. L’ambito politico-sociale non è il solo in cui si presenta questa performatività; infatti, anche la vita militare e diplomatica permette di riconoscere subito le relazioni tra i generi: in caso di guerra tra due tribù i vincitori avrebbero costretto i vinti a travestirsi da donna, in modo tale che, una volta sconfitti e fatto ritorno a casa, non sarebbero stati più percepiti come uomini[20]. In una lettera del medico spagnolo Diego Alvarez Chanca, del 1494, si afferma che alcuni feroci indigeni erano soliti catturare in guerra dei giovani ragazzi dalle isole Guadalupe, Santa Cruz e Maria Galante, li castravano, abusavano sessualmente di loro fino al raggiungimento dell’età adulta, infine li uccidevano per cibarsene. Un anno dopo, in una lettera di Michele di Cuneo, viene riportato che gli Arawaks erano fortemente dediti alla sodomia, non sapendo se facessero bene o male; la cosa che ci interessa è che entrambe le lettere collegano la castrazione dei prigionieri di guerra al successivo abuso sessuale e questo rapporto è comune alle berdaches[21]. Anche se non è possibile effettuare una sovrapposizione. L’esploratore Álvar Nuñez de Vaca utilizzò il termine «amarionados» per indicare questi indios, annotando che molti di loro praticavano il peccato contro natura. Hernando de Alarcón riportò di aver incontrato almeno tre o quattro indigeni maschi in abiti femminili, anche se le prime descrizioni più dettagliate risalgono a Vasco Núñez de Balboa, che viaggiò nel pacifico nel 1513. Nel 1516 nel suo De orbe novo Pietro Martire d’Anghiera raccontò di come, in tre viaggi a Panama, avesse incontrato il fratello di un cacique (un capo tribù) di Quaraca in compagnia di alcuni uomini che, in abiti femminili, praticavano la sodomia: il conquistatore gettò alcuni di questi tra i cani e fu la prima volta, documentata, in cui uno spagnolo punì degli indios per sodomia. Per i conquistatori un maschio vestito da donna era un peccatore e la sua azione andava perseguitata[22]: il fatto che questi comportamenti fossero tollerati, se non quando assecondati e sostenuti dalle autorità locali, conferì il diritto di poter conquistare e «civilizzare». Ma, in tutto ciò, i conquistatori semplicemente dedussero che, per il vestiario femminile, le berdaches ricoprissero il ruolo passivo nei rapporti sessuali: in realtà dovevano adempiere a degli specifici ruoli, nella famiglia e nella tribù, ed esistevano vari riti di passaggio informali in cui un maschio assumeva questo ruolo[23].

Bartolomé de Las Casas era convinto che si trattasse di uomini impotenti che mai avrebbero potuto giacere con una donna; sosteneva poi che in alcune tribù i ragazzi venissero smodatamente masturbati prima di divenire impotenti e sosteneva la tesi di Galeno per la quale nei genitali era contenuto il sangue che si perdeva nella masturbazione. La selezione delle future berdaches poteva avere molte varianti, di età e provenienza, poteva avvenire in famiglia o essere una decisione della tribù, ma non tutte queste informazioni sono state registrate dai primi conquistatori. Mai una volta, però, è documentato un ritorno alla vita e alle faccende prettamente maschili[24]. Nuño de Guzman descrisse nel 1530 una chichimec incontrata a Tenochtitlan: gli spagnoli credevano che fosse una donna a causa del suo abbigliamento, rimasero stupiti nello scoprire che si trattasse di un uomo con vestiti da donna, sappiamo solo che decisero di ucciderla[25]. Tra i tanti rituali sacri riportati dai colonizzatori abbiamo quello del dio peruviano Pachacama, in cui è centrale il ruolo della vittima sacrificale: questa doveva inginocchiarsi in preghiera in attesa della penetrazione anale da parte del dio, ossia il sacerdote. Presso il popolo Timicua, presente lungo la costa Nord-Est e Centro della Florida, in tempo di guerra le berdaches portavano provviste e raccoglievano feriti, ma non potevano portare le armi, che erano proprie degli uomini[26]. In una pubblicazione del 1542 Nuñez Cabeza de Vaca introduce il tema della divisione sessuale del lavoro tra i nativi americani e afferma di aver visto degli uomini sposati con altri uomini, i quali appartenevano a una classe di “impotenti effemminati” e che non usavano arco e frecce, ma erano più alti e forti degli altri e qualche volta portavano dei carichi più pesanti. Dieci anni dopo Lopez de Gómara realizzò una glossa del testo di Nuñez, dove interpretò il termine “impotenti” come sinonimo di “eunuchi”. Ma perché erano più forti degli altri? La spiegazione di Gomara fu una riconferma di quanto affermato da Nuñez, ossia che i castrati in tenera età, per qualche motivo, diventassero più alti e forti di tutti gli altri. 

Nel 1564 il disegnatore francese Le Moyne de Morgues e il suo capitano Laudonnìere mostrarono una particolare attenzione per alcuni individui della tribù Tumucua, che chiamarono “ermafroditi”: si trattava sempre di uomini in abiti femminili, con capelli lunghi e gonne e Le Moyne scrisse, in una didascalia a un suo disegno, che quando i re partivano per la guerra, questi individui trasportavano le provviste e i morti al luogo di sepoltura[27]. L’autore riferì che presso questa tribù i vincitori della battaglia non erano soliti prendere prigionieri maschi, ma prima di lasciare il campo di battaglia sodomizzavano, e a volte castravano, gli uomini che avevano ucciso. Una volta due di queste berdaches vennero interrogate in un tempio di Santo Tomas e affermarono che fin da piccole erano state messe lì dai capi tribù per servire nell’abominevole vizio e per stare a guardia degli idoli del tempio. Nel XVIII secolo gli studiosi hanno evidenziato sia la performance religiosa sia il loro comportamento sessuale, ma le fonti europee limitano il ruolo delle berdaches a quello di custodi di templi, ponendole in relazione ai castrati a guardia degli harem, oppure vengono indicate come vittime sacrificali di alcune divinità. Il francescano Motolinía sosteneva che le divinità indiane avevano introdotto e legittimato la sodomia in Messico e America centrale, tanto che in alcune feste religiose poteva accadere che alcuni uomini si vestissero da divinità femminili in segno di onore verso di loro e, a volte, era previsto il sacrificio di alcune donne che venivano scorticate[28].

Sempre Motolinía riferisce che solo due o tre province permettono la sodomia e sono lontane da Città del Messico; nei posti in cui la sodomia non era illegale veniva comunque condannata dalla comunità e la persona accusata era definita cuy lumpult (persona passiva). Secondo Trexler i cronisti come Motolinía hanno riferito solo in generale di questi comportamenti nella valle del Messico, ma non specificatamente dei comportamenti sessuali legati all’ambito del sacro, tranne Las Casas che assicurò che questi comportamenti “contro natura” avevano origine nei templi. Egli, descrivendo le condizioni del Guatemala, annota che benché un padre possa odiare la sodomia avrebbe potuto decidere di far vivere un figlio al tempio, dove avrebbe imparato la dottrina religiosa. Riferisce poi che vicino la sede episcopale di San Cristóbal si teneva un rituale pubblico in cui era prevista l’umiliazione di un «“cicho del templo”», che veniva appeso e bruciato[29]. Gli spagnoli ritennero che gli atti di sodomia nel tempio fossero un’offerta religiosa “all’altare del potere, della classe e dello status” ed ebbero piena coscienza della gerarchia di potere tra i capi e gli assistenti. Molto probabilmente il rapporto sessuale tra sacerdote e assistente rappresentava un rapporto tra l’uomo potente e la donna in condizione di subordinazione, un modo dunque per mostrare la propria maschilità agli altri uomini e, soprattutto, far vedere che le proprie donne sono disposte a fare tutto ciò che verrà loro ordinato[30].

Purtroppo, gli effetti della conquista spagnola sulla percezione degli atti tra individui dello stesso sesso, presso i popoli nativi, non sono stati studiati in maniera sistematica, ma secondo alcuni la nozione ispanica di sodomia condannava il partner passivo e consentiva a quello attivo una maggiore libertà, in quanto il maschio penetratore stava comunque “giocando” secondo le regole della maschilità. Ma le leggi della Spagna del periodo analizzato sembrano contraddire questa tesi e secondo Trexler alla base della legge spagnola c’era l’intenzione di punire l’autore di un atto illecito di dominio[31]. Sebbene alcune formulazioni teologiche e giuridiche riguardo la sodomia furono egemoniche è evidente che non furono mai monolitiche, ma nella Nuova Spagna portarono a tattiche di adattamento reciproche, accettando il presupposto che l’identità di genere trascende l’esperienza sessuale, nel senso che un individuo socializzato come marito o moglie può indirizzare il desiderio sessuale verso individui dello stesso sesso, senza abdicare ai valori dominanti del genere che gli è stato assegnato, è anche vero che forse la sessualità gioca un suo ruolo non trascurabile nella strutturazione soggettiva del genere[32].

[1] F. Molina, Más allá de la sodomía. Notas para el estudio de las (homo)sexualidades (pre)modernas en América latina, in «Revista de Ciencias Sociales», 1, 2012, p. 202.

[2] Ivi, p. 207.

[3] Ivi, p. 216.

[4] Id., Disputas por la identidad. Representaciones sociales, discursos médicos y prácticas judiciales ante los fenómenos de ambigüedad sexual (España, siglo XVI-XVII), in «Anales de Historia Antigua, Medieval y Moderna», 50, 2016, pp. 96-97.

[5] Ivi, pp. 98-99.

[6] Ivi, p.100.

[7] Ivi, p. 109.

[8] U. Grassi, Sodoma. Persecuzioni, affetti, pratiche sociali (secoli V-XVIII), Roma 2020, pp. 135-136.

[9] Monumenta Mexicana, Vol. I (1570-1580), in Monumenta Missionum Societatis Iesu, Vol. VIII, Roma 1956, p. 1*.

[10] Z. Tortorici, Sins Against Nature. Sex and Archives in Colonial New Spain, Durham 2018, p. 89.

[11] Monumenta Mexicana, Vol. III (1585-1590), in Monumenta Missionum Societatis Iesu, Vol. XXIV, Roma 1968, pp. 64-65.

[12] Monumenta Mexicana, Vol. IV (1590-1592), in Monumenta Missionum Societatis Iesu, Vol. XXIX, Roma 1971, p. 352.

[13] Monumenta Mexicana, Vol. V (1592-1596), in Monumenta Missionum Societatis Iesu, Vol. XXXI, Roma 1973, p. 92.

[14] U. Grassi, Sodoma, pp. 121-122.

[15] Z. Tortorici, “Heran Todos Putos”: Sodomitical Subcultures and Disordered Desire in Early Colonial Mexico, in «Ethnohistory», 54, 2007, pp. 35-36.

[16] Ivi, pp. 38-39.

[17] Ivi, pp. 215-216.

[18] M. J. Horswell, Toward an Andean Theory of Ritual Same-Sex Sexuality and Third-Gender Subjectivity, in «Journal of the History of Sexuality», 10, 2011, pp. 288.

[19] Ibidem.

[20] R. C. Trexler, Gender Subordination and Political Hierarchy in Pre-Hispanic America, in P. Sigal, Infamous Desire. Male Homosexuality in Colonial Latin America, Londra 2003, p. 73.

[21] Ivi, pp. 70-71.

[22] Ivi, p. 82.

[23] Ivi, p. 96.

[24] Ivi, pp. 99-100.

[25] Ivi, p. 77.

[26] Ivi, p. 76.

[27] Ivi, p. 67.

[28] Ivi, pp. 103-104.

[29] Ivi, pp. 105-107.

[30] Ivi, p. 109.

[31] Ivi, p. 105.

[32] F. Molina, Más allá de la sodomía. Notas para el estudio de las (homo)sexualidades (pre)modernas en América Latina, in «Revista de Ciencias Sociales», 1, 2012, p. 214.

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