di Nicoletta Celeste
A G. Campisi, alle promesse e alla vita condivisa insieme
Sarebbe bello che di una vita vissuta fino alla fine si riuscissero a vedere solo i giorni più belli, solo i sogni ancora custoditi. L’essere umano invece tiene sempre innanzi il dolore, cerca di proteggersi e preservarsi il più possibile dalla morte: ed è questo il compito che già la natura ci dà come specie vivente. E tuttavia, l’umano non è soltanto questo, ma è sempre chiamato a partorirsi, individuarsi. A non essere solo un rappresentante della specie, ma un essere speciale.
La vita allora non è solo essere venuti alla luce una volta nello spazio e nel tempo del nostro nascere, ma venire sempre alla luce. L’umano è un passaggio temporale che sa di passarsi. È tempo incarnato e consapevole di se stesso. Siamo corpi protesi verso il futuro sulla base della nostra storia passata, della nostra memoria e di chi ha costruita insieme a noi. Siamo destino e destinazione, ma lo possiamo essere nella misura in cui siamo primariamente provenienza e origine. Siamo fatti di tempo, anzi di tempi. Il primo è quello cosmico, circolare, degli eventi e dei processi che tornano con cadenza regolare come le stagioni dell’anno: oggi è una Domenica qualunque che torna e ritornerà ogni settimana fino a quando vivremo, un 30 novembre che ogni anno ritorna sul nostro calendario. Poi c’è il secondo tempo, quello lineare, Kronos, il tempo storico e lineare, intramato di eventi che si succedono e che si verificano una volta sola. Eventi protesi a quelli futuri e che non si ripeteranno mai più nella loro unicità. E tuttavia, è lecito domandarsi: ciò che accade in questi due tempi che viviamo ci basta mai veramente? In realtà la risposta è negativa perché se vivessimo solo del tempo del cosmo perderemmo tutta la nostra individualità e se, nel secondo caso, attendessimo sempre la felicità come accadimento futuro quando e come potremmo renderci conto che essa si è veramente poi realizzata? La verità è che noi, infatti, viviamo primariamente in un terzo tempo, che è tra i primi due e a questi ultimi dà pieno significato e compimento. E questo è forse l’unico tempo di cui veramente possiamo disporre. È il Kairos, che più che un tempo è il sentire il tempo stesso. E come facciamo a sentire il tempo? Uno dei modi umani, troppo umani di sentire il tempo è quello dell’amore. Già Marcel Proust diceva che proprio l’amore non è altro che “lo spazio e il tempo resi sensibili al cuore”. Ora, si può sentire il tempo come “misura” dell’essere amati e dell’amare. Essere amati da persone vicine, lontane, da quelle che ci hanno trasmesso parole, insegnamenti, bellezza, profondità d’essere. Essere amati da quelle persone che scegliamo anche noi di amare.
Il tempo dell’amore è quello che non passa come gli altri, è il tempo in cui ricevo e creo, che fissa nell’eternità la fugacità dei nostri istanti. Si vive infatti veramente solo il tempo in cui si ama. Mario Luzi diceva che è proprio l’amore ciò che aiuta a vivere e a durare. E nel tempo contemporaneo della liquidità e della contingenza dei legami occorre ricordarci che la durata di un amore autentico non logora mai veramente nessuna relazione, ma al contrario la rinnova costantemente. La durata non è ciò che ci allontana dall’origine, ma è qualcosa che la porta sempre con sé, ogni giorno. La durata è rinnovamento dell’origine. Il miracolo più vero e più proprio dell’amore è fare dello stesso il sempre nuovo. La ripetizione non annienta l’amore, ma lo estende all’infinito, al sempre, all’Assoluto. E allora oggi sarà pure una Domenica qualunque, un giorno qualunque, un giorno come torna e tornerà sempre durante le prossime settimane, o sarà forse l’unico e irripetibile 30/11/2024, ma sarà soprattutto l’amore che abbiamo custodito fino a oggi, quello che abbiamo ricevuto e scompaginato in questa nostra vita piccola, ordinaria e semplice. Quella in cui in realtà, oltre ogni limite, si può sempre rinascere infinite volte, in infiniti modi.