Recensione a:
Enrico Sesto
Sonno di pietra. Stratigrafie del sacro in Sicilia
Lettere da Qalat, Caltagirone 2024
Pagine 200
€17,00
di Chiara Tinnirello
Scelgo di accostarmi al libro di Enrico Sesto, Sonno di pietra. Stratigrafie del sacro in Sicilia, Lettere da Qalat, Caltagirone, 2024, per restituirgli un rilascio della sua energia irradiante. Dopotutto un’opera si dichiara nei suoi precipitati, si apre per fecondare il terreno, fondersi con esso, restarci secca e riattivarsi nella disseminazione.
Di questo ciclo, del quale Demetra e Persefone sono le dee emblematiche, il libro di Sesto ci mostra la via.
Con Sonno di pietra entriamo in un mondo a rovescio, buio per troppa luce irradiante, medusea. L’autore ci porta dentro gli anelli del pensiero mitico e misterico siciliano (e non solo).
La distinzione tra mito e mistero sosta al cuore del libro. Tale diversificazione, semplificando, pertiene alla difformità tra la narrazione del mito e il silenzio del mistero al quale si accede per iniziazione ad Ade, il dio dei morti.
Tra le due forme del sacro pagano vi è dunque un salto, una sospensione esemplificata sulla distanza del regno sotterraneo di Plutone al quale nessun vivente può accedere.
Il libro parla di entrambi, ma noi per orientarci in questo periplo abbiamo una larga mole di studi e testimonianze riguardo al mito, mentre per il mistero dobbiamo affidarci ai segni notturni di Ade e alle tracce dei culti iniziatici antichi.
In Sonno di Pietra, l’autore propone una porzione della sua lunga riflessione su questi temi che, in quanto parte emersa di un lungo e carsico pensare, possiede le caratteristiche di una sovrabbondanza asciutta. Abbiamo di fronte un testo ricco ma scorrevole, profondo ma essenziale e godibile a tutti i livelli di lettura: un bambino adorerebbe le narrazioni del “secondo strato” del volume, ove Sesto ripercorre le sue incursioni nel mito attraverso le prime esperienze di fanciullo.
L’affinità con la geologia è significativa. Diversi passaggi del libro parlano di pietre: pensiamo alle nostre rocce bianche, ai muretti a secco, alla necropoli di Pantalica (tutto pietra in greco antico), alle mura delle città apollinee, agli edifici del barocco con i suoi araldi litici. Inoltre, pietroso è ogni idolo quando il dio prende forma e si fa visibile.
Nel pensiero mitico la stratificazione è simultanea e paradossale essendo connaturata alle immagini: la pietra è il dio, il fondo nero un tesoro aureo, gli inferi le porte del sogno. Così la forma che le madri siciliane danno al pane, dalle quali viene affascinato l’autore da bambino, sono il sigillo di Demetra che si rivela nel rituale della preparazione delle vivande.
Sesto ci consegna una scrittura senza ponti, siano essi logici, storici, ontologici o metafisici. Siamo abbandonati alla risacca che ci risputa nel mito come pure, in altri passaggi, ci fa ruzzolare nel mistero infero.
Pensavamo di esserci lasciati alle spalle il paganesimo antico, ne avevamo nostalgia poiché lo amavamo. Come fortunati spettatori mediterranei del paesaggio pagano, respirando l’aria siciliana, non lo abbiamo più vissuto come pensiero, precipitato in scrittura.
Riflettere sul mito e il mistero implica però la scrittura, anche se questa è un avvicinamento per raggiungere la corte delle immagini.
Le parole di Sonno di pietra sottoposte alla centrifuga immaginale, agli specchi di anima, si distillano in figure operando il trapasso. Con esso cadiamo nel gorgo muto senza vicende né simboli per accedere all’anti-spazio ove dimorano le ombre. Uno solo lo governa.
Al cuore del volume di Sesto, si dispone il convitato di pietra aurea, il sovrano del sogno, delle ombre e dell’oro, parliamo di Plutone, il ricco.
La via negativa del NoN, così la chiama Sesto, appartiene al dio dei morti che ci fa dismettere i panni dei viventi per farci diventare adepti di Psiche.
Nel libro ci sono anche dei traghettatori per condurci come anime sulla via dell’arcano di Ade: la nonna, Ermes, l’amico Lucio, Dioniso, Pan, la Kore e Demetra. In tale maniera, gli dei si innestano con i vivi, il bios con i morti e parla dalla loro bocca.
L’immaginazione infera si sposa con il corpo, con il pane, con i doni della festa dei morti come pure con i sepolcri, il mare, le necropoli, i culti religiosi cristiani riannodando tutte le sezioni del volume intorno al sovrano del Tartaro.
Considerato eideticamente il sacro è vivo, il sacro è morto, il sacro è copioso e feconda il suolo spento di una terra che non vuole dimenticare per ricordare l’arte del ricco.
Eccolo Plutone. Una volta emerso non si può ricacciare indietro, la melagrana è stata assaggiata da tutti noi e adesso il silenzio plutonico ci ha riacciuffato: stiamo calando come fanciulli divini nel suo regno.